Toscana

Speciale 30° Georgofili: Vanni, “quella notte di dolore incancellabile”

Non a caso la prima spiegazione, dopo il terribile boato, a chi poneva preoccupati interrogativi al centralino de La Nazione era «sembra si sia trattata di una fuga di gas».Ero rientrato a casa dal giornale alla solita tarda ora dopo una giornata faticosa, come tante, ma abbastanza tranquilla. Abitavo a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla cupola del Duomo. A un tratto, nel silenzio della notte, lo scoppio assassino e pochi minuti dopo l’urlo delle sirene lungo viale Matteotti. Tornare subito al giornale. Questa l’inevitabile reazione. Il centralino era sotto assedio e affiancai l’operatore per riproporre la solita risposta che riceveva sempre, inevitabilmente, un appena sussurato «Speriamo» accompagnato da una punta di comprensibile scetticismo.

Saranno state circa le tre quando assieme a Nicola Coccia, bravo cronista di nera, riuscimmo a raggiungere piazza della Signoria e poi il piazzale degli Uffizi, Solo un buio spettrale, un mare di vetri infranti e un forte odore di gas ma ancora non si riusciva a capire che era la conseguenza e non certo la causa del gran boato.Non riuscimmo ad arrivare verso via dei Georgofili e scoprimmo solo più tardi che era il cuore della tragedia e della follia. La bomba maledetta si era portata via un’intera famiglia comprese due bambine di nove anni e di cinquanta giorni.

Tornammo al giornale increduli, sconcertati, incapaci di accettare la terribile realtà che si andava delineando. Umberto Chirici, l’uomo macchina della notte, era riuscito ad aggiornare l’ultima edizione, quella destinata alla città e ai comuni limitrofi. Restai a lungo con lui, poche parole e molti interrogativi senza risposte. Impossibile in quei momenti fatti di tensione e di stanchezza pensare allo stragismo mafioso e ai suoi perversi obiettivi. In parte non chiariti nemmeno trent’anni dopo.

Con le luci dell’alba l’unica certezza era la strage degli innocenti, a iniziare dalla famiglia Nencioni.

Tornai a casa per pochissimo tempo poi tutti al giornale, nessuno escluso, per preparare l’edizione straordinaria. Sapevamo bene che il nostro dovere era informare, far conoscere per quanto possibile la storia, le storie di una notte spaventosa. In cronaca i telefoni squillavano in continuazione, non mancava nessuno, ferie e «corte» erano saltate spontaneamente, la macchina del giornale girava a pieno ritmo. Alle due del pomeriggio la straordinaria era già nelle edicole ma già bisognava pensare all’edizione del giorno dopo. Quella sorta di mobilitazione non poteva conoscere ne stanchezza e nemmeno pause se non brevi.

La gente, certo non solo i fiorentini, voleva sapere e capire. Un binomio ancora difficile da coniugare. Uscii, uscimmo dal giornale attorno alle due di notte. Quasi ventiquattro ore trascorse nel palazzo spadoliniano di via Paolieri. Niente più sirene, niente assedio al centralino, la città era di nuovo immersa nel silenzio E nel dolore.

*già capocronaca La Nazione