Livorno

“Sono tornato a trovarla”

È trascorso già un mese da quando la Madonna dei popoli si è rivelata alla nostra città.Un mese in cui la notizia è corsa in giro per l’Italia passando dalle testate giornalistiche di “Credere”, “Avvenire” e prossimamente “Medjugorje la presenza di Maria”, fino a raggiungere il canale televisivo di TV2000.Un periodo così lungo di cui neppure l’artista Paolo Grigò si è reso conto; parlando con lui infatti ci confessa che non gli sembra passato così poi tanto tempo da quel caldo sabato di settembre in cui tutta Livorno ha potuto ammirare e conoscere la sua opera, la sua “mamma del mare”.«Ci sono momenti, ci confessa Grigò, in cui ancora penso di averla ancora qui accanto a me nel laboratorio; vado ma non la trovo. È un po’ come una relazione di convivenza con una donna che dopo due anni si è interrotta». «In realtà, aggiunge, non l’ho persa perché farà sempre parte di me, del mio lavoro. Tant’è che sono andato anche a trovarla e questa volta (per la prima volta) l’ho vista da lontano, o meglio dal giusto punto di vista».Grigò infatti ci spiega che per la sua realizzazione non l’aveva ancora guardata nella sua interezza, se non nel raggio di sei metri. Un’occasione in cui l’artista non ha mancato di fare una piccola autocritica su alcuni particolari che potevano essere resi in modo migliore.Ciò non toglie che l’opera messa in atto sia stata molto apprezzata dai livornesi, seppur accompagnata anche da alcune critiche ed osservazioni tipiche del temperamento e del sarcasmo labronico.«Le critiche ci stanno tutte, è normale e umano, precisa Grigò. Detto questo, però rimango soddisfatto del mio lavoro e della sua realizzazione: l’obiettivo che mi ero prefissato nella costruzione di quest’opera imponente coniugando i canoni ecclesiastici con il gusto dell’artista, credo di averlo raggiunto e sono contento di ciò che ho fatto».Paolo Grigò però in questi due anni non ha lavorato da solo; altre sei mani lo anno aiutato a creare la Madonna dei Popoli.Tre giovani ragazzi, Sara, Marta e Pietro, giorno dopo giorno hanno visto crescere sotto i loro occhi la statua e «nonostante momenti di sconforto, hanno resistito: quando qualcosa andava storto la frase che ci dicevamo l’un con l’altro, diventando così un motto “guardiamo in positivo” ci faceva ripartire e trovare nuovi stimoli».«Una buona squadra, che ad occhi chiusi rifarei, così come l’opera; abbiamo trascorso due anni insieme in cui l’amicizia, il bene ed il lavoro sono stati rafforzati lasciando da parte tutto ciò che poteva essere negativo.Ancora oggi,ci confida ancora, ci sentiamo per telefono, qualcuno di loro ogni tanto passa a vedere cosa combino e spesso ceniamo insieme come facevamo durante il nostro lavoro».Si, perché ad oggi l’artista ed i ragazzi si sono “divisi”, soltanto una ragazza è rimasta con lui a lavorare ai nuovi progetti di scultura e pittura, mentre gli altri due hanno intrapreso altri cammini, ma la strada per tornare alla “tabaccaia” non si dimentica facilmente.