Vita Chiesa
«Sono fragile ma andrò avanti»
«A te, Signore Gesù Cristo, unico Pastore della Chiesa, offro i frutti di questi venticinque anni di ministero al servizio del popolo che mi hai affidato. Perdona il male compiuto e moltiplica il bene: tutto è opera tua e a Te solo è dovuta la gloria». Si è conclusa con una speciale “preghiera”, l’omelia di Giovanni Paolo II durante la Messa celebrata sul sagrato della Basilica di S.Pietro il 16 ottobre, in occasione del XXV anniversario di pontificato, insieme ai cardinali, agli arcivescovi e vescovi e ai parroci di Roma e davanti a 100 mila fedeli. E’ in corso, intanto, in Vaticano il convegno del Collegio Cardinalizio sui 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II, a cui partecipano (fino al 18 ottobre) oltre 300 persone, tra cui 149 cardinali e 109 presidenti di Conferenze episcopali. Di seguito, alcuni “punti” dai due importanti avvenimenti.
“Tutto si compia secondo la tua volontà”. “Con piena fiducia nella tua misericordia, Ti ripresento, oggi ancora, coloro che anni fa hai affidato alle mie cure pastorali”, ha proseguito il Pontefice: “Conservali nell’amore, radunali nel tuo ovile, prendi sulle tue spalle i deboli, fascia i feriti, abbi cura dei forti”. Poi un riferimento indiretto all’esortazione apostolica promulgata oggi: “Sii Tu il loro Pastore, affinché non si disperdano. Proteggi la diletta Chiesa che è in Roma e le Chiese del mondo intero. Pervadi con la luce e la potenza del tuo Spirito quanti hai posto a capo del tuo gregge: adempiano con slancio la loro missione di guide, maestri e santificatori, nell’attesa del tuo ritorno glorioso”. Infine, il Santo Padre si è simbolicamente rivolto a Dio: “Ti rinnovo, per le mani di Maria, Madre amata, il dono di me stesso, del presente e del futuro: tutto si compia secondo la tua volontà”. Durante l’omelia, Giovanni Paolo II ha offerto una sorta di sintesi del suo magistero: “Sin dall’inizio del pontificato, i miei pensieri, le mie preghiere e le mie azioni sono state animate da un unico desiderio: testimoniare che Cristo, il Buon Pastore, è presente e opera nella sua Chiesa”.
La Croce non è solo una parola Il card. Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e decano del collegio cardinalizio, ha ripercorso idealmente i 25 anni di pontificato di Karol Wojtyla, dal “discorso indimenticabile” pronunciato il giorno della sua elezione all’attuale e tenace sopportazione della sofferenza: “Nella sua vita – ha detto – la parola croce non è solo una parola. Lei si è lasciato ferire da essa nell’anima e nel corpo”. Giovanni Paolo II è stato ed è per Ratzinger un Papa che “ha girato instancabilmente il mondo, non solo per portare agli uomini il Vangelo al di là di ogni confine geografico”; che “ha attraversato i continenti dello spirito, spesso lontani l’uno dall’altro e contrapposti l’uno all’altro, per rendere vicini gli estranei, amici i lontani, e per dare spazio nel mondo alla pace di Cristo”. “Giovani e vecchi, ricchi e poveri, gente potente e umile”: questi i destinatari del messaggio del Papa, che “ha annunciato la volontà di Dio senza timore, anche lì dove essa è in contrasto con ciò che pensano e vogliono gli uomini”, e “ha preso su di sè critiche e ingiurie, suscitando però gratitudine e amore e facendo crollare le mura dell’odio e dell’estraneità”, mettendosi “con tutto se stesso a servizio del Vangelo” e lasciandosi “consumare”.
“Collegialità” e “ministero petrino”. “Ringraziamo il Signore per averci dato questo pastore che, in un’epoca piena di confusione e pericoli, conferma noi, suoi fratelli, nella fede”: con queste parole il card. Ratzinger, ha aperto il 15 ottobre il convegno dei cardinali in onore del Papa. “Il primato di Pietro che vive tra di noi è una grazia, prima di essere una giurisdizione. L’essenziale, secondo me, è l’umiltà e l’amore che accompagnano il suo esercizio”, caratteristiche di tutto il pontificato di Giovanni Paolo II. Lo ha detto il card. Bernard Gantin, sottolineando che “i Papi non vanno in pensione, avendo scelto di essere ‘servitori’ a vita”. “Gli apostoli ha spiegato Gantin soffermandosi sulla natura del ministero petrino non sono intercambiabili; la fraternità non sopprime la solidarietà e la condivisione”. Di qui il legame tra il primato di Pietro e la “collegialità”, una delle acquisizioni conciliari più importanti, al cui “cuore” si trova la capacità di “rispettare l’identità di ciascuno”.