Cultura & Società
Son tornati a fiorire gli aneddoti
Nella sua propria natura l’aneddoto indica qualcosa di «inedito», segreto, intorno a una figura o un fatto di qualche rilievo, che si racconta con un fine d’insegnamento, ovvero per ricreare o divertire, rimasto in margine alla storia ufficiale perché ritenuto pettegolezzo, diceria di dubbia autenticità o di secondaria importanza. Così il termine Anecdota fu dato nel VI secolo da Procopio di Cesarea alla sua opera che fu detta Storia segreta, una composizione di tipo storiografico, che raccoglieva fatti minuti, falsi e in gran parte veri, scritta per vendicarsi della corte di Bisanzio e in particolare di Teodora, Giustiniano, Bellisario e sua moglie Antonina.
Se l’aneddoto spesso ha da dire poco sulle linee portanti della storia, ha molto da dire invece sulle ramificazioni: il carattere d’un personaggio, lo spirito di un popolo, il clima di un’epoca, i fatti nascosti, le motivazioni psicologiche di un gesto, le cause segrete di un avvenimento, gli aspetti celati di proposito dietro verità ufficiali, gli umori di un’assemblea e tanti altri elementi che le narrazioni storiche non prendono o non vogliono prendere in considerazione.
Nasce così una storia parallela o segreta come diceva Procopio, che è quella che non si racconta, ma della quale gli storici di valore tengono sempre il debito conto, in quanto spesso contiene i germi di una nuova interpretazione dei fatti.
L’aneddoto poi, comunemente, è quel fatterello curioso, divertente, contenente arguzia, astuzia, soluzioni ed espedienti ingegnosi, col quale si ravviva la conversazione, si rallegra un tavola, si alleggerisce una conferenza.
Questo è un periodo di crisi anche per tale forma di narrazione, che ha la singolare caratteristica di avere una larga diffusione orale, oltre che scritta, per cui la sua configurazione non è univoca: cambiano i particolari, cambiano le epoche, le persone, le circostanze nelle quali un curioso fatto viene collocato. Per questo è materia scivolosa, pericolosa, una sabbia mobile che gli accorti accademici scansano come la peste, per non incorrere in abbagli ed errori, pressoché inevitabili in questa materia, dove un fatto aneddotico può essere attribuito anche a una ventina di personaggi, sempre con attestazioni, circostanze, particolari, sostenuti da testimoni spesso attendibili. Invece di illustrare la cosa teoricamente, ne mostreremo il comportamento con una analogia, ovvero con una specie di aneddoto.
Purtroppo venne fuori il nome di Voltaire, altro bello spirito, che aveva scritto qualcosa di simile nei Dialogues (1763, XIV, Le chapon et la poularde), e l’avrebbe fatto per parodiare una frase di Molière (Il matrimonio per forza, VI): «La parola è stata data all’uomo per esplicare il suo pensiero».
Troppo bello per essere vero. Prima di lui l’aveva scritto Goldsmith (L’ape, 1759) e ancora prima Young (L’amour et la Remmomée, 1742), se non vogliamo andare a i Distici (IV, 20) di Catone, del periodo classico dove si legge: Sermo hominum mores et celat et indicat idem.
Dobbiamo dire, e non certo a critica dell’Editore che a questi lumi di luna ha fatto già tanto, che oggi si cercherebbe qualcosa di più, soprattutto da parte degli studiosi. Ferdinando Palazzi (1884-1962) fu un infaticabile uomo di cultura, al quale si devono anche altre opere, quali L’Enciclopedia della Fiaba, il Dizionario della lingua italiana, tra i migliori per sensibilità linguistica. Giornalista, saggista, linguista dette vita all’Enciclopedia del Tesoro, la celebre enciclopedia per i bambini, e la collana di narrativa per i ragazzi La scala d’oro.
Rispetto ai suoi predecessori comunque Palazzi fece molto meglio, segnalando spesso sommariamente le fonti da cui le narrazioni derivano, ma quando un testo perviene di terza o di quarta mano, la citazione serve a poco. Oppure sapere che il testo si trova da qualche parte in un’opera d’un migliaio di pagine, più che aiutare sgomenta.
Inoltre, per la successione inesorabile delle figure sul palcoscenico della storia, molte figure che un tempo erano di grande fama, conosciute e apprezzate, oggi non sono quasi più nulla e, dalle scene del mondo sono scese nei sotterranei del teatro, diventando materiale per studiosi, dotti, eruditi, curiosi. Attori teatrali dell’Ottocento, uomini politici di seconda fila, nobili di corte, medici, militari oggi siedono su uno strapuntino, nell’angolo più oscuro della storia e non c’è pericolo che un giovane ne abbia sentito parlare.
Palazzi ha cercato di dare di ogni protagonista un anno di nascita e uno di morte, ovvero il periodo nel quale è vissuto, una succinta nota biografica, ordinando la sterminata materia per ordine alfabetico secondo i protagonisti, con un dettagliato indice analitico. Non è poco se si pensa che in passato il materiale in genere era letteralmente ammassato alla rinfusa, ovvero disposto secondo argomenti, teorizzazioni, temi generici o vaghi, per cui ricercarvi un nome, non si dica un fatto, era follia sperar.
Compilato probabilmente per uso delle scuole di retorica, e quindi per avvocati, giudici, oratori, risente di una forte nota moraleggiante, corrispondente al periodo di Augusto e Tiberio, in cui visse Valerio Massimo, quando si tentava di riportare l’impero ai severi costumi del passato. Infatti, quando si spiega una situazione, un problema, nulla di meglio che avere da proporre un esempio, magari divertente, per un uditorio sonnecchiante in modo da chiarire la materia e ravvivare l’attenzione. Così questo espediente retorico fece fortuna anche nella predicazione cristiana, tanto che fino alla metà del secolo scorso si trovavano raccolte di exempla, esempi morali, divisi per argomento, alle quali il predicatore poteva attingere per preparare il proprio sermone. Molti fatti memorabili di natura giocosa sono raccolti nella tradizione orale dalla quale attinse anche il nostro medievale Novellino, insieme alla letteratura sapienziale dei romanzi simbolici contemporanei, o morali come Il romanzo della volpe della letteratura francese.
Nella letteratura popolare, intorno a figure esemplari, in positivo o in negativo, si addensano saghe: nel mondo classico abbiamo serie di storie, come la Vita di Esopo, nel Medio Evo la saga di Marcolfo, nella nostra tradizione quella del Piovano Arlotto, di Bertoldo, del Gonnella, di Papa Galeazzo, di Giufà, e quasi ogni paese in Italia ha il suo eroe con la sua saga di racconti. La tradizione dotta ha forse il suo prototipo nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, una fortunata raccolta di fatti e detti sugli antichi filosofi, e via via nei vari libretti riguardanti le singole figure di pensatori, come Pitagora, Platone, Diogene.
Molta fortuna ebbe il libro di Aulo Gellio (II secolo d. C.) immenso archivio in venti libri di memorie antiche diffuso e conosciuto nel Medio Evo. Fu quello il tempo in cui il breve racconto edificante, detto anche miracolo, prese corpo intorno alle figure dei santi, soprattutto dei martiri con le passiones, oppure in vaste raccolte della letteratura agiografica in cui il più splendido esempio è la Leggenda aurea di Iacopo da Varazze. Questa materia sterminata si è trasferita nel corso dei secoli negli affreschi, nei dipinti, nelle sacre rappresentazioni ed è necessario averne conoscenza per interpretare l’arte figurativa del passato.
Il Settecento vide il fiorire di opere galanti costituite di questa materia, la quale in generale cominciò a cadere nelle mani di raccoglitori più sistematici. Già nel XVI secolo era apparsa un’immensa opera di Tomaso Garzoni (1549-1589): La piazza universale di tutte le professioni del mondo, arricchita da materiale aneddotico disposto secondo la sistematica dell’opera.
Lungo sarebbe seguire le innumerevoli pubblicazioni del nostro tempo. Citeremo solo l’opera ottocentesca più vasta, conosciuta e saccheggiata: Encyclopédiana Recueil d’anecdotes anciennes, modernes et contemporaines, J. Laisne Libraire-Èditeur, Paris s.i.d. Si tratta di un vero mare magnum senza sponde, senza fonti, senza indici, nel quale tutti coloro che hanno affrontato la materia, bene o male hanno dovuto navigare, a cominciare dal nostro Ferdinando Palazzi.