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Social Forum, la prima volta in Asia

di Patrizia Caiffa Sono oltre 500 mila, secondo gli organizzatori, i partecipanti al World social forum (Wfs) che quest’anno si sta svolgendo in India, a Bombay (16/21 gennaio). E’ la prima volta che il forum mondiale viene organizzato in una città dell’Asia; le precedenti quattro edizioni si sono sempre svolte a Porto Alegre, in Brasile, dove tornerà il prossimo anno. Numerosa anche la presenza ecclesiale: congregazioni religiose maschili e femminili (solo i gesuiti hanno inviato 1.350 sacerdoti da tutto il mondo), Ong di ispirazione cristiana, delegati di Caritas Europa e di altre organizzazioni cattoliche (Cafod, Secours catholique, ecc.).

“Luogo di dibattito interessante e d’attualità”. Il Forum sociale mondiale è per la Chiesa “un luogo di dibattito interessante” e l’attualità dei temi trattati “viene purtroppo evidenziata da casi come quello del crac della Parmalat”: è il parere espresso al Sir dall’economista Riccardo Moro, responsabile del coordinamento “Sentinelle del mattino” (costituito da Azione Cattolica, Movimento cristiano lavoratori, Comunità di Sant’Egidio, Movimento giovanile salesiano, Acli e Centro volontari sofferenza) che riunisce circa 60 organismi ecclesiali impegnati anche su questi temi. “Il Forum – spiega Moro – è un cammino fatto da organizzazioni della società civile che una volta l’anno cercano di mettere insieme diversità e posizioni anche alternative. La novità di quest’anno è la presenza e il protagonismo delle reti asiatiche, molto vivaci e articolate e con percorsi di avvicinamento alla democrazia molto interessanti, ma meno conosciuti. E’ un’opportunità per portare nel dibattito una sensibilità autorevole che non pesava nel modo d ovuto”.

Secondo Moro l’attualità dei temi trattati si dimostra, ad esempio, nella recente vicenda del crac della Parmalat: “è da tempo che ai forum mondiali si denuncia l’urgenza di regolare i mercati, e la cronaca ci propone casi come quello della Parmalat. Una critica che non si deve fare al Social forum è di essere inconcludente. Non mi pare sia fuori dal mondo chi parla di questi temi, forse è fuori dal mondo chi continua a non proporre risposte avendone invece la responsabilità”. La Chiesa, fa notare, “non vi partecipa in modo istituzionale, ma attraverso tanti suoi rappresentanti e attraverso la vivacità della propria base”: “non c’è un’adesione politica ma c’è un’attenzione e il riconoscimento del fatto che sia un luogo di dibattito interessante”. E su questi temi fra qualche settimana “Sentinelle del mattino” programmerà il lancio della campagna 2004 sull’educazione alla pace dal punto di vista del dialogo internazionale e della responsabilità sociale delle imprese.

In una baraccopoli nasce il marchio mondiale del commercio equo. “Un dedalo di vicoli, tra polvere, fango e un incredibile pavimento di tappi, lacci da imballaggio e pezzettini di plastica di ogni genere”. Questa è la baraccopoli più povera di Bombay dove vivono 700mila persone (hindu, cattolici, musulmani) e dove arrivano tutti i rifiuti della città, “pescati” da alcuni “cercatori” nel canale che li circonda per essere riciclati. Joachim Arputham Magsaysay, presidente della Federation of slum dwellers of India, lavora 12 ore per guadagnare tre dollari al giorno, impilando ordinatamente gli scatoloni smontati e spillati insieme. “Noi degli slum abbiamo voluto che la nuova rete del commercio equo e solidale di tutto il mondo venisse lanciata da qui, dove la gente vive dei rifiuti della città – spiega Joachim – perché solo a partire da un’esperienza concreta di economia alternativa, possiamo proporre regole nuove, giustizia e rispetto della dignità di tutti noi”. Il marchio mondiale delle organizzazioni del commercio equo (Fto) è stato lanciato il 19 gennaio a Bombay dalla Federazione internazionale del commercio alternativo Ifat e identificherà tutte le organizzazioni, del Nord e del Sud del mondo, che vogliono cambiare le regole degli scambi internazionali con l’importazione di oggetti di artigianato e prodotti agricoli da produttori svantaggiati dei Paesi poveri. Già più di 200 organizzazioni eque e solidali di 59 Paesi del mondo hanno scelto di partecipare.

Per il rispetto dei diritti umani. Anche Amnesty international è presente al Forum. “Un altro mondo è possibile se i Governi, altri attori internazionali e imprese rispettano i diritti umani e si assumono la responsabilità delle proprie azioni” ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale dell’organizzazione. Amnesty international, Oxfam e Iansa (International action network on small arms) hanno portato al Forum la campagna Control arms, sugli effetti e i problemi causati dal commercio delle armi leggere. Le organizzazioni hanno chiesto il sostegno per un Trattato internazionale sul commercio di armi.Il sito del World Social Forum 2004Choike.orgNotizie sul WSF 2004 da Unimondo (in it.)