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Siria, un paese allo sbando

Parla suor Arcangela Orsetti, originaria di Lucca, da 54 anni in missione. Opera con le consorelle nell’ospedale che la sua congregazione gestisce nella città di Aleppo. Sono oltre centomila i profughi che arrivano scappando dal Libano: tra questi ci sono libanesi ma anche siriani che erano fuggiti per scampare alla guerra

Descrive la Siria come una «terra di sofferenza», per «i 12 anni di guerra, l’epidemia di Covid, le sanzioni economiche imposte dall’Occidente, il terremoto distruttivo dello scorso anno». Ma, senza esitare, descrive la «sua Siria» anche come «terra di speranza», perché non ci sta a fermarsi di fronte alle catastrofi e ai drammi che hanno portato nel baratro questo Paese. A parlare così è suor Arcangela Orsetti, missionaria delle suore di San Giuseppe dell’Apparizione, originaria di Lucca, da 54 anni in Siria. Opera con le consorelle, senza sosta, nell’ospedale che la sua congregazione gestisce nella città di Aleppo, luogo che non ha mai abbandonato neppure sotto i bombardamenti di un’infinita guerra che ha messo in ginocchio il Paese e dal quale sono fuggiti milioni di siriani.

Oggi, a tutti i drammi sopra elencati, si aggiunge quello degli oltre centomila profughi venuti varcando il confine: arrivano scappando da un Libano in fiamme a causa dei bombardamenti israeliani, ma già da anni in ginocchio a causa dell’irreversibile crisi economica, politica e sociale, ed entrano in territorio siriano sperando di trovare una situazione migliore.

Ma così non è: per i libanesi, lasciare il proprio Paese per accamparsi in Siria è un atto di disperazione, che sperano possa essere necessario solo per pochi giorni; per i siriani, rientrare nel proprio Paese dopo anni trascorsi in Libano come profughi, è un rischio che solo alcuni sono disposti ad accettare, come male minore, perché temono di essere arrestati per non aver combattuto quella guerra dalla quale sono fuggiti anni prima. Ecco, in questo contesto, la situazione complessiva in Siria è di totale desolazione perché la gente «non vede all’orizzonte soluzioni per una ripresa.

I conflitti in corso nel Libano – spiega suor Arcangela – portano già conseguenze enormi e critiche sulla popolazione, immersa ancora di più nella paura, nella povertà e nella miseria». Effettivamente il 90% dei siriani oggi vive al di sotto della povertà. L’inflazione della moneta ha raggiunto ultimamente un livello esagerato e la maggior parte delle famiglie non può accedere ai generi alimentari di prima necessità ed è costretta a vendere quello che ha in casa per sopravvivere.

«L’altro giorno – confessa la missionaria – ho visto con i miei occhi un padre di famiglia che si è tolto le scarpe e le ha vendute per comprare il pane ai figli. Questa è una delle tante scene quotidiane che ti fanno piangere». Suor Arcangela ricorda che prima della guerra un euro si cambiava per 50 lire siriane: oggi, invece, ne vale più di 16mila. «Uno stipendio mensile – conclude – è appena sufficiente per vivere cinque giorni». Le Chiese locali e le associazioni sono un aiuto fondamentale, ma non possono coprire i bisogni di un intero popolo: «Le loro capacità – fa notare suor Arcangela – sono limitate ed esaurite. Attualmente la Siria non figura più nell’elenco dei beneficiari delle grandi organizzazioni internazionali, come invece era nel periodo della guerra». E tutto ciò aggrava ancora di più la situazione già drammatica. Il 50% della popolazione vive con pacchi alimentari distribuiti ogni tanto, ma «deve elemosinare con insistenza e in modo umiliante l’aiuto per le cure mediche, l’acquisto dei farmaci e gli interventi sanitari. Tutto questo incide non solo sulla qualità della vita delle persone ma anche sulla loro salute mentale». La missionaria descrive la gente come scoraggiata, sfiduciata, amareggiata: «Sui loro volti non c’è che tristezza, perché la vita diventa sempre più dura».

Né c’è possibilità di aiuti immediati: effettuare operazioni bancarie è praticamente impossibile a causa delle sanzioni internazionali che persistono nonostante l’economia del Paese si trovi in uno stato disastroso. In questo contesto il fenomeno migratorio aumenta sempre di più: chi può lascia il proprio Paese, in particolare i giovani perché non vedono nessun futuro davanti. «La minoranza cristiana è ridotta quasi a zero – denuncia suor Arcangela – e questo fa male, pensando che la Siria è la culla del cristianesimo». Ma le suore di San Giuseppe dell’Apparizione ogni giorno nel loro ospedale continuano ad affrontare le drammatiche situazioni dei malati senza sottrarsi: «Facciamo del nostro meglio per aiutarli e per alleviare la loro sofferenza fisica e morale».

E la speranza non svanisce, anzi: «Nel buio in cui viviamo – conclude suor Arcangela – solo la fede ci dona la forza di resistere, di perseverare e andare avanti, cercando di seminare la speranza in un dialogo che ascolta, consola e dona coraggio. Essere missionaria in Siria, per me, significa testimoniare con la vita e con ogni mio gesto umano che Dio è Amore e tutti siamo fratelli, figli dello stesso Padre». A volte i malati si rivolgono a suor Arcangela dicendole che è una nuova madre Teresa di Calcutta. Lei si schermisce e commenta: «Mi sento ben lontana dall’essere paragonata a santa Teresa! Ma tutto questo mi permette di lodare il Signore: senza di Lui non potrei fare niente, è Lui che opera in me».