Vita Chiesa

Sinodo sui giovani: Ruffini, «l’intervento più applaudito è stato quello di un giovane uditore iracheno»

«L’intervento finora più applaudito al Sinodo è stato quello di un giovane dentista iracheno», Sala Al-Abbia, di 26 anni, membro della Chiesa caldea e uditore. Lo ha detto il prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini, nel briefing di oggi in sala stampa vaticana, riferendo che i padri sinodali, nell’ascoltare la sua testimonianza, «si sono commossi».

«Credo sia molto importante parlare di famiglia, sessualità e social media», ha esordito Safa, «ma la sfida principale che devono fronteggiare i giovani in Iraq è la pace e la stabilità e il loro diritto a vivere con dignità». Poi il giovane iracheno ha citato «il numero di martiri che hanno versato il loro sangue in Iraq» negli ultimi anni: «Più di 1.224 cristiani sono stati uccisi, metà dei quali erano giovani. Senza contare l’assassinio di padre Ragheed e del vescovo Raho, le bombe lanciate sui fedeli che partecipavano alla messa, le azioni terroristiche e i rapimenti durante l’invasione della piana di Mosul e Ninive da parte dell’Isis, che hanno portato all’espulsione di 120mila cristiani dalle loro case solo in una notte. In questo contesto, ha fatto notare Al-Abbia, i giovani pensano che «l’unica soluzione è l’emigrazione, a causa della quale il numero dei cristiani iracheni è passato da un milione e mezzo nel 2003 a 400mila negli anni più recenti. La nostra paura è che il numero è in continua decrescita e che un giorno sparirà la presenza cristiana in Iraq». Il giovane uditore ha concluso il suo intervento chiedendo preghiere e «una speciale attenzione non solo ai giovani iracheni, ma a quelli degli altri Paesi dove i cristiani sono considerati una minoranza».

«Riconoscere e rafforzare il ruolo della donna nella Chiesa». A chiederlo è stata suor Mina Kwon, uditrice, direttrice e counselor presso la Catholic University di Daegu, in Corea, durante il briefing odierno sul Sinodo. «Non tutte le religioni lavorano in condizioni eque», la denuncia a proposito di alcuni «atteggiamenti autoritari che vanno contro i valori evangelici» e che sono frutto «del clericalismo che si oppone all’unità» e introduce nella Chiesa «una gerarchia medievale che è causa di disuguaglianza e di esclusione». «I giovani hanno bisogno di uomini e donne che vivano in armonia nella Chiesa», la proposta della religiosa coreana, che citando il tema della direzione spirituale, dibattuto nella seconda settimana del Sinodo – dedicata al discernimento, sulla scorta della seconda parte dell’Instrumentum laboris – ha fatto notare che «tale ruolo non può essere limitato solo ai sacerdoti».

Rispondendo alle domande dei giornalisti sul motivo per cui le donne presenti al Sinodo, e in particolare le otto superiore religiose, non possano votare, mons. Everardus Johannes de Jong, vescovo di Cariana (Paesi Bassi), ha risposto: «La presenza delle donne è così chiara e la loro voce così ascoltata. Noi ascoltiamo le donne, ma votare non è qualcosa che implica avere un potere. Questo è un Sinodo consultivo, dice anche cosa pensano le donne: c’è una grande apertura verso tutti, e le donne fanno parte di questo processo, così come hanno fatto parte del pre-Sinodo. La loro opinione è molto ben espressa nell’Instrumentum laboris. Resta il fatto, però, che Gesù abbia scelto degli apostoli che erano maschi: quello in corso è un Sinodo dei vescovi, non ci sono donne-vescovo e donne-cardinale, dobbiamo convivere con questa situazione».

«Il tema degli scandali e degli abusi è stato affrontato fin dall’inizio del Sinodo», ha fattoo notare mons. Robert Emmet Barron, vescovo ausiliare di Los Angeles. «La questione degli abusi rientra in quella più generale della credibilità della Chiesa», ha spiegato Barron: «Se la Chiesa ha poca credibilità, come può parlare ai giovani? Vogliamo che la Chiesa sia trasparente e responsabile a tutti i livelli. I giovani vogliono la paternità e la maternità spirituale, specialmente in un’epoca come la nostra in cui le famiglie sono in crisi». «In tutto il mondo ci sono casi di abuso», ha fatto notare mons. Everardus Johannes de Jong, vescovo di Cariana (Paesi Bassi): «È necessario cambiare le strutture e avere più fiducia nei giovani e in noi stessi». Bannon ha sottolineato anche l’importanza di «raggiungere le persone che normalmente non vengono da noi»: negli Usa, ad esempio, «il 40% dei giovani dicono di non avere alcun tipo di religiosità». Rispondendo ad una domanda sulla capacità di «inclusione», da parte della Chiesa, anche di giovani gay o lesbiche, Barron ha risposto: «Non amo molto il termine inclusione, che ha un sapore un po’ sociologico. Preferisco il termine amore». «Siamo tutti figli di Dio: la Chiesa raggiunge tutti nell’amore, la sua capacità di accoglienza è verso tutti», ha spiegato Bannon. «Nello stesso tempo, però – ha precisato il vescovo – la Chiesa chiama alla conversione, chiama le persone a cambiare la propria vita, muove le persone alla pienezza della vita».