La Chiesa dell’Iraq deve ripensare il proprio futuro anche in termini di contributo alla ricostruzione. Ricostruire l’Iraq non è solo affare politico, economico, ma anche spirituale. Va ricostruito l’uomo iracheno che è ferito, malato e deve essere aiutato a portare il suo fardello di sofferenza. Lo ha detto mons. Jean B. Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini nel corso dell’incontro Voci dal vicino Oriente promosso, oggi a Roma, dalla Fondazione Giovanni Paolo II nell’ambito del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Tante le cause di questa sofferenza, secondo il presule, che ha posto in evidenza, innanzitutto rischi di natura politica: i problemi dell’Iraq non sono stati affrontati, in primis quello dell’unità e della Costituzione, che contiene diverse contraddizioni, in particolare all’art. 2, che dichiara nulle leggi contrarie alla sharia. Mi chiedo ha detto – come far coincidere Sharia con democrazia. E poi il disagio dello Stato centrale rispetto all’influenza dei Paesi vicini, la mancata spartizione delle ricche risorse del Paese, non solo petrolifere per le quali ancora non è stata emanata una legge. Ma su tutti i problemi quello che maggiormente preoccupa l’arcivescovo latino è la mancata riconciliazione nel Paese. Le conseguenze di questa situazione si riflettono sulla minoranza cristiana che si vede in alcune zone vicino Baghdad e Mossul imposta la sharia da parte di fondamentalisti islamici. Molti cristiani hanno dovuto emigrare o accettare di essere dhimmi e pagare tasse per essere protetti. I cristiani hanno paura.Sir