Vita Chiesa
Sinodo, l’intervento di delegati fraterni e uditori laici
La mattina del 16 ottobre, nel corso della 12ma Congregazione generale, sono intervenuti i 12 delegati fraterni. Ne hanno riferito il patriarca Stephanos, primate della Chiesa ortodossa di Estonia, e Tymothty Thornton, della Comunione anglicana, nel briefing in sala stampa vaticana. Giovedì pomeriggio (15 ottobre), ha reso noto padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, ci sono stati in totale 30 interventi, tra previsti e liberi, cui hanno fatto seguito i primi interventi di tre coppie di uditori e di uditrici. Dopo l’intervento dei 12 delegati fraterni, il 16 ottobre ci sono stati gli altri 27 interventi di uditori e uditrici.
La Chiesa deve farsi paladina della «necessità della realtà della differenza tra uomo e donna», ha esordito Stephanos parlando ai giornalisti della sua esperienza al Sinodo. «La coppia – ha ricordato – non è costituita da due uomini e due donne, è costituita da un uomo e da una donna: cancellare questa realtà significa cancellare la differenza, senza la quale non è possibile l’evoluzione». Quando si parla di famiglia, «tutte le Chiese si trovano oggi di fronte agli stessi problemi, in una società che legifera sulle situazioni nuove in cui si trovano le famiglie». Si tratta, ha spiegato il patriarca, della «ricerca di sostituirsi al modo in cui la Chiesa ha sempre parlato di famiglia, in nome della ricerca della parità». Tutto ciò, però, sfocia «in un nichilismo in cui tutto è permesso, che si situa a un livello diverso rispetto a quella che è la realtà della vita».
Interpellato sulla specificità della «via penitenziale» delle Chiese ortodosse per i divorziati risposati, Stephanos ha spiegato: «L’esclusione non ci appartiene: cerchiamo di fare tutto il possibile perché le persone possano tornare alla comunione eucaristica». «Quando una coppia si sposa non lo fa per arrivare al divorzio», ha precisato il patriarca: «Nella Chiesa romana si parla di unità del matrimonio, nella Chiesa ortodossa di unicità del matrimonio: ci si sposa per l’eternità, ma ci sono dei momenti della vita in cui l’amore cambia senso e gli sposi si autodistruggono. È una condizione di peccato e di disperazione: il vescovo può sciogliere il matrimonio, si tenta di dare la possibilità alla persona di ricostruirsi, ma è necessario un momento penitenziale».
«Non si scioglie automaticamente il matrimonio, il vescovo non è obbligato a scioglierlo», ha precisato Stephanos: «Nel momento in cui la persona è sincera nella sua voglia di ricostruirsi, la sia aiuta nei suoi momenti di debolezza e di peccato». «La seconda cerimonia matrimoniale non è trionfale come la prima, ma penitenziale», ha spiegato: «Le due persone che vivono questo cammino penitenziale devono essere sintonizzate bene con il loro amore, guardare la verità in faccia».
Al Sinodo «il dialogo è cruciale», e «nessuno si rivolge al Papa con intenzione distruttiva». Stephanos e Thornton hanno risposto in questi termini all’ennesima domanda su quella che ormai viene chiamata la «lettera dei 13» al Papa. «Sono deluso, nessuno mi ha chiesto di firmare la lettera», ha detto scherzosamente Thornton. «È importante mantenere il dialogo aperto», ha aggiunto. «Bisogna che i media vedano il lato positivo, non lo scandalo», l’invito di Stephanos: «Non sappiamo bene di cosa parli la lettera. Ciò che conta è che c’è un Sinodo: se vogliamo costruire, e non distruggere, ovviamente devono esserci posizioni diverse». «Se il Santo Padre riceve una lettera – ha proseguito – non è perché bisogna creare scandali o divisioni: i padri sinodali non si rivolgono al Papa con intenzione distruttiva. Sembra quasi che si cerchi, da parte dei media, di tastare il terreno, di vedere chi parteggia per l’uno o per l’altro». «Io vedo dei vescovi lieti, contenti, consapevoli delle preoccupazioni dei loro fedeli – ha testimoniato Stephanos – ognuno con la propria visione della pastorale». Non è mancato, negli interventi dei delegati fraterni, un riferimento all’emigrazione a causa della guerra in Siria e in Iraq, che ha creato nuove sfide per le famiglie cristiane, emigrate sia nei Paesi vicini, sia in Europa.