Vita Chiesa

Sinodo 2018: Ruffini, «documento finale verrà votato numero per numero, con maggioranza dei due terzi»

Il documento finale del Sinodo dei vescovi sui giovani, che verrà sottoposto all’attenzione dei padri sinodali sabato 27 ottobre, «verrà votato numero per numero, con la maggioranza dei due terzi dei voti per ogni votazione». Lo ha detto il prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini, durante il briefing odierno in Sala stampa vaticana. «Si sta valutando se far accompagnare il documento finale da un messaggio ai giovani», ha aggiunto a proposito di una delle proposte circolate in aula. Intanto, il Sinodo è giunto a metà percorso e nel pomeriggio sono in programma le relazioni dei 14 Circoli minori. «La pubblicazione del documento finale sarà decisa dal Santo Padre, qualora decidesse di pubblicarlo», ha precisato Ruffini in risposta alle domande dei giornalisti.

Il fatto che le religiose donne presenti al Sinodo dei vescovi sui giovani non abbiamo diritto di voto, al contrario di quanto accade per i religiosi uomini, vuol dire che «c’è un certo malessere su questo tema: è un segno che qualcosa non va». Lo ha detto padre Arturo Sosa Abascal, preposito Generale della Compagnia di Gesù, rispondendo alle domande dei giornalisti. «Questo Sinodo è un Sinodo dei vescovi», ha ricordato il gesuita, «bisogna capire questo nella struttura della Chiesa». Nei sinodi locali, invece, «partecipa tutto il popolo di Dio in condizioni più o meno paritarie. Una delle riforme volute da Papa Francesco è quella di approfondire la collegialità della Chiesa, e di chiedersi in quale direzione si potranno produrre cambiamenti».

Intanto, le sette religiose presenti al Sinodo hanno promosso una petizione «on line» per chiedere «ai cardinali, ai vescovi e al Papa» il diritto del voto al Sinodo: «Circa il 10% dei partecipanti al Sinodo sono donne, tutte scelte da Papa Francesco e nessuna delle quali con diritto di voto», vi si legge: di qui la richiesta di «individuare un percorso per le superiore religiose di lavorare e votare in pari dignità a fianco dei loro fratelli in Cristo». Le religiose – che questa sera promuovono una conferenza stampa, a Roma, per illustrare le loro ragioni e condividere la loro esperienza al Sinodo – hanno ringraziato in particolare il card. Marx per il suo intervento sulla «pari dignità» della partecipazione femminile all’assise in corso in Vaticano fino al 28 ottobre. Rispondendo ad una domanda sulla possibilità di convocare, nella Chiesa, «assemblee generali con vescovi, preti, religiosi, religiose e laici impegnati nella pastorale», padre Sosa, precisando di parlare a titolo personale, ha affermato: «Credo che il Concilio Vaticano II abbia proposto un modello ecclesiale che non si è ancora concretizzato. In questi cinquant’anni, sono stati fatti passi avanti in alcuni momenti, ma altre volte si è tornati indietro».

«Il modello della Chiesa con al centro il popolo di Dio, auspicato dal Concilio, non si è ancora concretizzato del tutto», la tesi del gesuita: «Bisogna camminare verso un concetto di Chiesa che rifletta il suo centro, che è il popolo di Dio, con la giusta considerazione sui ministri». «Mi fanno un po’ paura le assemblea calate dall’alto», gli ha fatto eco padre Marco Tasca, ministro generale dei Francescani: «Questo tipo di assemblea c’è già nelle diocesi: sarebbe bello che fosse convocata a livello di Conferenze episcopali, di una zona o di uno Stato». Anche per padre Bruno Cadoré, maestro generale dei Domenicani, «la cosa più importante non è tanto sapere se dobbiamo fare o no delle assemblee, ma sapere che la Chiesa deve essere una comunità di appartenenza. I giovani non hanno bisogno di strutture o di organizzazioni, ma di un luogo dove siano importanti. Non servono tanto assemblee strutturate, ma celebrazioni comunitarie».

«Oggi c’è un indebolimento della democrazia che apre a populismi ingenui e nazionalismi discriminatori», ha detto ancora padre Arturo Sosa Abascal, che durante il briefing di oggi sul Sinodo ha risposto anche alle domande dei giornalisti sulla questione delle migrazioni, uno dei temi più dibattuti dai padri riuniti in Vaticano fino al 28 ottobre. «Il modo in cui si affronta la questione migratoria è un segnale importante per qualsiasi società, una misura della sua umanità», ha affermato il preposito generale citando l’attività del «Jesuit Refugee Service» in questo ambito. In primo luogo, per Sosa, «bisogna chiedersi quali sono le cause che spingono i migranti non solo ad abbandonare la loro terra, ma anche alle migrazioni interne in ciascun Paese: come in Africa, ad esempio, dove per lo sviluppo delle miniere molti abitanti di quei territori sono costretti a spostarsi altrove». «Come promuovere una cultura dell’accoglienza», in contesti dove dominano «i nazionalisti egoisti», l’altro imperativo di cui tener conto, insieme ad una particolare attenzione «al processo di transito» dei migranti. «Non si deve soltanto sollevare l’emergenza, ma capire cosa capita dopo», il monito del gesuita, che ha definito «una cifra scandalosa il tempo di permanenza medio in un campo di rifugiati: 17 anni, l’anno scorso». «Cerchiamo di offrire un’educazione nei campi di rifugiati, sia ai giovani che agli adulti», ha spiegato il gesuita in merito alle attività svolte dalla Compagnia tramite l’apposita struttura destinata ai migranti. Tra le opportunità colte, anche quella di «creare una rete che possa servirsi del mondo digitale, per far arrivare un’educazione di qualità nei campi dove non ci sono maestri, insegnanti, scuole, università».