Opinioni & Commenti

Signa, il museo della memoria

di Timothy VerdonDirettore, Ufficio d’Arte sacra e dei Beni culturali ecclesiastici, Arcidiocesi di Firenze

Il nuovo museo parrocchiale della Pieve di Signa, inaugurato la settimana scorsa nell’occasione della Solennità dell’Immacolata, entra a far parte di un sistema di 14 raccolte diffuse sul territorio fiorentino che – nel loro insieme – costituiscono un ideale «museo diocesano». Tra queste alcune sono di antica fondazione – Empoli in particolare, risalente alla prima metà dell’Ottocento –, altre invece più recenti, ma tutte hanno due caratteristiche che le distinguono: la specificità locale e il carattere ecclesiale. Accolgono cioè arredi e suppellettili realizzati per una o più chiese di una determinata zona, documentando così la realtà storica della fede ivi vissuta, e sono composte esclusivamente di opere fatte a servizio della liturgia e della devozione.

A Signa, ad esempio, tra gli oggetti in mostra sono gli abiti ritenuti quella di Beata Giovanna, romitessa medievale nei pressi della cittadina di cui fu poi considerata patrona celeste. Il museo, allestito nella canonica della Pieve, infatti presuppone la previa visita all’attigua chiesa, dove nel presbiterio è conservato un ciclo di affreschi quattrocenteschi narranti la vita di Beata Giovanna, con fra l’altro affascinanti vedute della Signa di allora circondata da fertili campi e dall’Arno pescoso.

Ed ecco subito il pregio maggiore di questi musei d’arte sacra, che infatti sono comuni in tutta la Toscana: come a Signa, così in altri casi la raccolta di opere fatte per la Chiesa viene ospitata in locali dello stesso edificio di culto o attigui o quantomeno vicini ad esso. Laddove in un altro tipo di museo – agli Uffizi, ad esempio, o alla Galleria dell’Accademia – le opere esposte sono lontane dal contesto d’utilizzo che originalmente dava loro senso, nel sistema di raccolte territoriali esse rimangono in luoghi dove la funzione per cui furono realizzate rimane attuale ed attiva. Agli Uffizi le pale d’altare, insieme ai ritratti, ai paesaggi e alle nature morte, sono presentate come magistrali esercizi di tecnica pittorica, senza riferimento al fatto che stavano su altari eucaristici e servivano da fondali visivi per la liturgia; rispecchiano infatti un raffinato collezionismo in sé lontano dal processo creativo che ha ingenerato le opere.

In un piccolo museo come Signa invece – come a Impruneta, Montespertoli, San Casciano, Gangalandi, Certaldo ecc. (per menzionare solo alcuni degli altri musei fiorentini) – il visitatore passa dalla chiesa, dove altre opere sono ancora su altari e dove una comunità ancora partecipa alla Messa – ad ambienti espositivi in cui dipinti e statue sono allestiti tra i libri liturgici, i paramenti e l’argenteria sacra che costituivano il loro antico contesto d’uso. Si riscopre cioè il senso delle opere, si capisce spontaneamente la loro funzione (e con questa anche molte delle scelte dell’artista e del committente, legate alle esigenze funzionali per cui le opere erano realizzate). E si scopre la cosa più bella: una tradizione viva in cui opere realizzate nel lontano passato hanno ancora qualcosa da dire ai credenti di oggi. A Natale, una Madonna col Bambino ancora posta sopra la mensa eucaristica, con vicino dei bei calici del medesimo periodo, parla eloquentemente del Verbo che, incarnandosi nel grembo della Vergine, è diventato anche pane per i poveri.