Firenze

Sicurezza, legalità. accoglienza: i richiami del cardinale Betori nella Messa di San Giovanni

«Il rispetto della legalità va chiesto a tutti ed è condizione irrinunciabile di piena cittadinanza». Sono le parole del cardinale Giuseppe Betori nell’omelia della festa di San Giovanni Battista, durante la Messa in Cattedrale. Betori ha citato i nomi di Niccolò Ciatti e Duccio Dini, i due giovani morti in circostanze tragiche: «I nomi di Niccolò e di Duccio sono ancora nei nostri cuori e vorremmo che i loro cari ci sentissero vicini, partecipi del loro dolore. Occorrono risposte ferme al diffondersi della violenza, rimuovendone i focolai e ostacolando le culture che la giustificano, scardinando la logica del sopruso dal cuore della gente. Su questa strada si incontra anche l’impegno per il controllo delle devianze in questa città e l’approntamento di ogni ragionevole intervento per proteggere la serena convivenza nei luoghi dell’incontro e della socialità, a cominciare dalle nostre piazze e dai nostri quartieri».

Il tema conduttore dell’omelia sono stati gli effetti di quella che Papa Francesco usa spesso definire «cultura dello scarto»: «Occorre prendere atto – ha affermato l’Arcivescovo – che nella società contemporanea molti soffrono abbandono, emarginazione e perfino violenza, in quanto ritenuti ostacoli per chi cerca profitto, benessere, sicurezza. Su queste situazioni deve proiettarsi un giudizio storico guidato dai principi fondamentali del rispetto delle persona umana e della ricerca del bene comune, un giudizio da proporre senza timore di contrastare il pensiero egemone, con la stessa fermezza che animò la predicazione del Battista, fino al martirio».

Il Cardinale ha quindi legato il tema della difesa della vita con il quarantennale «di una legge che intendeva regolamentare l’aborto, salvo poi essere percepita come se con essa l’aborto non sia più un male da evitare, ma un diritto da rivendicare. Cosa dire quando la legge viene usata per impedire la nascita di esistenze fragili e imperfette? Lo ha denunciato con forza di recente il Papa, non esitando ad accostare tale pratica al modo di fare dei nazisti: “Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi”».

Parlando del clima in cui il valore della vita e della persona umana non è rispettato, Betori ha anche affermato: «Non si può accettare che su una delle chiese più care al cuore dei fiorentini e al rispetto di quanti ne amano l’arte e la cultura si possano impunemente affiggere striscioni che insultano la fede e la civiltà di un popolo. E c’è da chiedersi perché si continui a tollerare che i sagrati delle chiese siano luoghi privilegiati di comportamenti illeciti».

La «logica dello scarto», ha prosegutio l’Arcivescovo, «tocca la persona umana quando questa trova chiusa la porta dell’accoglienza, perché c’è chi non la ritiene sufficientemente giustificata per chi aspira a una condizione di pace, a fuggire dagli spettri della fame confidando nella condivisione fraterna dei beni della terra, a una possibilità di vita migliore per sé e per i propri cari. Ci sono ovviamente dei limiti connessi alla misura delle risorse di cui si dispone, ma non possiamo dire che il nostro è un Paese che non può condividere perché esso stesso in stato di povertà. Basterebbe guardare all’accoglienza di profughi in Paesi come il Libano per doverci vergognare di un solo rifiuto. Certo, non mancano anche tra noi sacche di miseria e disagio, ma questo dovrebbe sollecitare piuttosto una più equa distribuzione dei beni e una presa in carico di tutte le povertà, senza eccezioni. E se è vero che tutti i Paesi in Europa devono condividere i nostri sforzi, la ricerca di un maggiore coinvolgimento degli altri, non può giustificare nostre chiusure. Si aprano piuttosto corridoi umanitari e si promuovano politiche concrete di sviluppo nei paesi di partenza dei migranti; se ne accompagni l’accoglienza con percorsi di integrazione e non si mettano i poveri contro i poveri per scopi di propaganda. Un clima di divisione è sempre nocivo per una società, soprattutto quando prende a pretesto le origini etniche. La dignità della persona umana è un principio irrinunciabile e precede cittadinanza, provenienza, etnia, cultura, religione».

Betori ha quindi fatto riferimento alla «situazione del mondo giovanile troppo spesso privato dell’approdo al lavoro nella nostra società. La voglia di rendita sembra prevalere su quella di impresa. E il consumismo non apre orizzonti di lavoro significativi, fin quando lo scambio commerciale prevale sulla ricerca e sulla produzione di beni essenziali. È il paradigma economico che esige una conversione che vada nella direzione della persona e non del profitto. Ridare speranza ai giovani è fondamentale per l’equilibrio della società, anche al fine di ridurre i rischi delle depressioni e delle devianze».

L’ultimo riferimento dell’omelia, nella festa del patrono di Firenze, è stato per l’identità della città: «Non posso, infine, fare a meno di dire una parola più diretta a questa città. La perdita di identità della nostra città sembra infatti strettamente connessa a non considerare sufficientemente l’esigenza di creare un tessuto sociale forte, fatto di famiglie e di una rete di risposta ai bisogni primari delle persone, lasciando invece spazio a una logica di profitto e di rendita, che intercetta sì il flusso turistico ma svilisce l’immagine stessa di Firenze. Si tratta di problematiche che non hanno soltanto risvolti economici, ma prima ancora valoriali e identitari, di una identità non chiusa, ma dialogica e inclusiva, come nelle nostre migliori tradizioni, e per questo densa di contenuti e di riferimenti alla persona, alla sua dignità, alla socialità e al bene comune. Per aprire orizzonti positivi è chiesta una progettualità che non tema il nuovo, cercando di convergere tutti su decisioni sagge, guidate dalla ricerca del bene della città e del suo futuro. Confrontarsi per condividere dovrebbe essere una regola. Tutti vogliamo un città viva; non possiamo accettare di essere un museo, pur consapevoli della responsabilità che ci viene dall’eccezionale eredità artistica e culturale che ci è stata affidata dalla storia. E questo non è solo doveroso, ma possibile. Lo stare tra la gente, dono prezioso della visita pastorale nella Diocesi, mi conforta ogni giorno nella scoperta di legami operosi, di silenziose opere di carità e solidarietà, di preziosa e costante preghiera, di attese di significato e di speranza, di lavoro quotidiano per contribuire al bene comune».

«Firenze è questa, i fiorentini sono questi, non dimentichiamolo – ha concluso Betori – . Invochiamo i nostri grandi del secolo scorso, a partire da Giorgio La Pira, che dall’alto proteggano la nostra amata e meravigliosa città».