di Andrea BernardiniSe entri nel palazzone dedicato al prof Piero Fioretti, nel cuore dell’ospedale «Santa Chiara» di Pisa, incroci un via vai di pancioni, di barelle e carrozzine dirette verso la sala parto, di camici bianchi (o verdi) a colloquio con mamme in attesa di un bambino, ma anche di due o tre: la percentuale di parti gemellari o trigemini è in vertiginosa ascesa. Sali lungo la grande scalinata e al primo piano, tra le sale parto e la nursery della clinica di neonatologia, trovi una cappella dove vedi entrare od uscire mamme o nonne che qui sostano per qualche minuto, affidando al Signore la gravidanza o la buona riuscita del parto. In quella cappella, neonatologi, ginecologi, ostetriche, si sono ritrovate nei giorni scorsi con l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto intorno alla mensa eucaristica per prepararsi al Natale e riscoprire, una volta di più, il senso (e il bello) della loro professione. E certo non sono mancati spunti di riflessione. Meravigliosamente adatte ad una celebrazione in neonatologia le letture previste dalla liturgia di quel giorno: dal libro dei Giudici si apprende che l’angelo annunzia alla moglie di Manoach, sterile, il concepimento di Sansone, colui che comincerà a salvare Israele dall’oppressione dei Filistei; il Vangelo di Luca, invece, ci racconta dell’apparizione dell’angelo a Zaccaria, cui annuncerà che sua moglie Elisabetta gli darà un figlio, Giovanni battista, appunto.Queste corsie e questa cappella rappresentano una sorta di ritorno alle origini per molti di noi. Così anche per l’arcivescovo: «In questa clinica sono nato ed a questo fonte battesimale sono stato battezzato» ha ricordato monsignor Giovanni Paolo Benotto. Il là per ragionare sul valore della vita: un bene che ci è stato affidato (per questo occorre averne cura) ma che non ci appartiene. Un dono che, nella visione cristiana, viene da Dio, ma che per potersi rendere visibile ha bisogno di collaboratori: delle mamme e dei papà che quel figlio devono volerlo, ma anche di ginecologi, ostetriche, neonatologhe, che quel piccolo devono farlo venire alla luce. Di qui l’invito ai camici bianchi: «Siate collaboratori della vita», di più: «siate ministri della vita»; ricordando che per ogni creatura che viene al mondo, tutti siamo chiamati a farla crescere, educarla, integrarla tra i suoi simili: «i bambini hanno bisogno di tutto e di tutti».Purtroppo – ha osservato monsignor Benotto – la cultura del nostro tempo non è aperta alla vita. Invece di promuoverne lo sviluppo, se ne ha quasi paura… i motivi sono tanti ed è un po’ complesso entrarvi dentro. «Di fatto stiamo smarrendo le radici di questo mistero meraviglioso».Qualche giorno più tardi le cronache dei quotidiani racconteranno la storia di una rom che avrebbe gettato tra i rifiuti il corpicino di un bambino, pare abortito spontaneamente al quinto mese di gravidanza. Dai nostri archivi, invece, ritroviamo la storia di Angelo Faustino, ritrovato privo di vita il 15 febbraio 2001 nell’impianto Ecofor a Pontedera: abbandonato – lui come un suo fratellino, morto senza nome né tomba – dalla mamma pontederese per nasconderli al convivente. Dimentica che la legge italiana prevede come un bimbo non voluto possa essere comunque partorito con l’assistenza dei sanitari, essere «non riconosciuto» e lasciato nella struttura ospedaliera: qualcuno, al posto dei genitori naturali, si occuperà di lui.L’arcivescovo ha appena concluso l’omelia quando una ostetrica entra in cappella: c’è un’urgenza, alcuni medici devono correre in sala parto. Cantano ostetriche ed infermiere riunite in un coro nato all’interno della clinica grazie a Susy Falcone. E la Messa, concelebrata dai cappellani monsignor Egidio Crisman e Taddeus Zawadzki, è ancora più bella. A fine celebrazione, rimarrà molto nel cuore dei partecipanti. Te ne accorgi partecipando al buffet offerto dal primario di ginecologia II Maria Giovanna Salerno e preparato dalle ostetriche caposala Sandra Rossi e Gloria Igneri e dalla segretaria Manuela Possenti: nei volti delle partecipanti leggi , di certo, nuovo entusiasmo ed un pizzico di conforto per il lavoro reso giorno e notte dai neonatologi della clinica diretta dal professor Antonio Boldrini: anche quando ci sono da «salvare» con cure intensive bambini nati molto precocemente; o le tante storie di solidarietà nate all’interno delle corsie: una su tutti, la bella esperienza del dottor Pascal Biver che ha fondato un’associazione, «Dinsi une man», insieme e per i ragazzi down. O, infine, le ricerche di quei ginecologi impegnati nelle cure pre-natali: come quella portata avanti dalla prof Irma de Luca Brunori e dalla dottoressa Lorella Battini, i cui studi sulla gestosi fatti in giro per il mondo hanno «fruttato» alla clinica il prestigioso premio «Ogash Awards» 2008.Un filo comune tiene insieme queste esperienze e molte altre: il servizio alla vita.