Cultura & Società

Siam venuti a cantar maggio…

di Enrico Pizzi«Siam partiti da Montieri giù fino a Orbetello, il suolo Maremmano quanto è bello. Castagne alla montagna, Pini lungo il mare, sono paesaggi che fanno sognare». Ci sarà anche quest’anno, Ivo Bernardini, con la sua fisarmonica, ad accompagnare i poeti e i maggerini della sua squadra, quella di Valpiana-Marsiliana-Massa Marittima, nel lungo giro tra i poderi dell’Alta Maremma, a cantare il Maggio. Dal 1947 Bernardini, classe 1936, ogni anno aspetta questo appuntamento con impazienza e, tra il 30 aprile e il primo maggio lui non c’è proprio per nessuno, parte da Bagno di Gavorrano, dove vive con la famiglia, e va per poderi. «Solo l’anno in cui sono morti i miei genitori – dice – non sono andato a cantare il Maggio».

«Ho iniziato a undici anni – ricorda Ivo Bernardini – accompagnando i maggerini nei giri per i poderi e da allora non ho più smesso». Il Maggio di Bernardini e della sua squadra è quello più tradizionale. C’è il corbellaio, quello che regge il paniere dove dovranno essere raccolti i doni che i maggerini ricevono dalle famiglie che visitano. «Il corbellaio – dice Bernardini – deve essere un tipo un po’ comico, che sappia fare lo sfacciato e poi ringraziare per quello che ci viene dato». C’è l’alberaio, quello che porta un bel ramo di alloro o di agrifoglio, tutto infiocchettato e addobbato, «che simboleggia la primavera». C’è, poi, assolutamente indispensabile, il poeta, quello che, in ottava rima, improvvisa i canti. «Non basta che sia bravo a improvvisare – spiega Bernardini – ma deve conoscere bene la tradizione del Maggio e i poderi che andiamo a visitare, perché i canti devono essere adattati alle diverse situazioni», d’altra parte, si tratta di canti che devono augurare qualcosa di buono per chi li riceve, e così, se c’è un stalla, un allevamento, un raccolto particolare, tutto deve essere inserito nelle ottave. Poi c’è il fisarmonicista – per la verità nella squadra di Bernardini ce ne sono due – e quattro maggerini che cantano le quartine. «Nel Maggio moderno – dice Bernardini – ci sono anche le donne, e alla fine la nostra squadra è di una quindicina di elementi». E ogni anno, dietro a loro, per i poderi, vanno anche dalle 100 alle 150 persone, tutti curiosi di vedere com’è il Maggio.

Fino a qualche anno fa Bernardini e i suoi partivano all’ora di pranzo del 30 aprile e rientravano a casa nel pomeriggio del primo maggio. «Quando s’aveva trent’anni – racconta – si faceva tutta la notte cantando da un podere all’altro, si partiva da un podere dove ci si invitava a pranzo e si mangiava quel che si trovava e si andava avanti fino al giorno dopo. Oggi, si parte sempre con il pranzo del 30, ma con i cellulari che ci sono si avverte prima, e così ci preparano anche dei bei pranzi. Si canta fino all’una di notte, poi si va a letto, perché non siamo più tanto giovani, ma alle sette di mattina si riparte, con la colazione, e si continua a cantare».

La Maremma sembra essere divisa nettamente in due, in tema di Maggio. «Quelli di Grosseto e sotto Grosseto – dice Ivo – non hanno né corbellaio, né alberaio né poeta, lì cantano in gruppo e anche canzoni come “Maremma Amara”; il nostro repertorio, invece, è diverso, facciamo musiche allegre, ballabili». E poi, tanta attenzione nei confronti dei poeti, quasi un rispetto sacrale. Al punto che Bernardini sta scrivendo anche un libro tutto dedicato ai poeti in ottava rima. «Volevo raccontare – dice – di tutti i poeti della Maremma, di Grosseto e di Livorno, ne ho conosciuti tanti in questi anni, ma ho deciso anche di allargare ai poeti fiorentini, pisani e dell’Alto Lazio che da sempre si confrontano con i nostri poeti».

Bernardini è sposato, ha lavorato per 31 anni con il Comune di Scarlino, e ha figli e nipoti, ma nessuno sta seguendo la sua strada. L’unico su cui conta è il nipotino di otto anni. «Magari – dice – imparasse a suonare la fisarmonica: ne ho due, fabbricate a Castelfidardo, che risalgono alla fine dell’Ottocento, poi ne ho altre due, più moderne e più leggere». Lui ha imparato a suonare giovanissimo, seguendo le istruzioni di un operaio della Montecatini, che lavorava nelle miniere di Gavorrano. Ma la tradizione rischia di interrompersi.

Braccagni, tante squadre per festeggiare un rito d’altri tempiE’ ormai un appuntamento che si è consolidato: squadre di «maggerini» si danno convegno con i loro canti augurali nel pomeriggio del 1° maggio a partire dalle 14,30 nell’oliveto del Campo della Fiera di Braccagni (Grosseto). Anche quest’anno è prevista la partecipazione di squadre provenienti da tutta la Maremma, oltre a squadre di Campi Bisenzio (Firenze) e Vaiano (Prato).

Naturalmente non mancano cantastorie, menestrelli e poeti estemporanei. Tutti insieme per festeggiare l’arrivo del nuovo «Maggio», questo antico canto itinerante di questua legato al culto degli alberi e dei rituali agresti, con il suo messaggio – sempre attuale – di pace, amore e fratellanza. La manifestazione è corredata come ogni anno, oltre che dall’immancabile merenda a base di prodotti tipici locali, da appositi spazi adibiti all’allestimento di esposizioni culturali, che quest’anno hanno per oggetto una mostra fotografica sempre dedicata al «Maggio». Previste anche dimostrazioni pratiche di attività artigianali inerenti lavorazioni cadute ormai in disuso, oltre alla diffusione dell’ultimo numero della rivista di tradizioni popolari «La Sentinella di Braccagni».

L’appuntamento è realizzato dal Gruppo tradizioni popolari «Galli Silvestro» con il patrocinio della Provincia e del comune di Grosseto e con la collaborazione dell’Apt di Grosseto e l’Archivio Tradizioni popolari della Maremma. Informazioni allo 0564-863706.

Pieve San Lorenzo (Minucciano)Le tradizione del «Maggio» non è soltanto quella che ogni anno viene rivissuta all’inizio della primavera, con i maggianti che bussano di porta in porta. Esiste anche un «maggio drammatico» o «epico», una forma aulica di «recitar cantando» che viene praticata soprattutto in Garfagnana e in alcune località della Lunigiana, in particolare a Pieve San Lorenzo, nel comune di Minucciano, dove da alcuni anni è in corso un vero e proprio recupero che ha coinvolto anche la scuola. Come ci spiega la professoressa Valeria Martini, «ai bambini non solo si spiega l’origine di certi usi locali e il rispetto dell’ambiente, ma anche come si canta il maggio epico». È questo un modo di trasmettere la memoria storica, per non lasciare che un patrimonio unico di conoscenze venga consegnato all’oblio. Per non parlare poi delle valenze educative. «Imparare a cantare il maggio significa infatti divertirsi esercitandosi nella musicalità, nel ritmo, nell’intonazione della voce, familiarizzando con personaggi del passato». Come afferma il professor Umberto Bertolini, «il canto del maggio obbliga a rallentare, a lasciarsi cullare da quella melodia antica sempre uguale a se stessa, che a poco a poco entra dentro in profondità, e col canto entrano le parole, e con le parole le frasi, e con le frasi le storie, i sentimenti, le idee e le strutture». A Pieve San Lorenzo è conservato – un tempo in forma orale, ora anche scritta – un testo che è un «unicum» nella storia dei maggianti: «Re Filippo d’Eggitto». In questo testo sono presenti molti elementi della tradizione antica: la lotta tra i Turchi e i Cristiani con vittoria di questi ultimi, la conversione al cristianesimo di personaggi «pagani», molte scene con guerre e duelli, personaggi tipici come la donna guerriera, vicende amorose contrastate che finiscono lietamente. Tuttavia, come afferma Gastone Venturelli, già docente di Storia delle Tradizioni Popolari presso l’Università di Firenze, «sulla base di alcuni elementi interni al testo si suppone che si tratti di un maggio non molto antico, dove sono stati ridotti al minimo gli elementi tradizionali non strettamente legati alla vicenda».Renato Bruschi

Per saperne di più: «Canterem mirabili cose». Immagini e aspetti del Maggio drammatico, a cura di Elena Giusti, Ets, Pisa 2000, euro 15,49. oppure anche il sito www.valeria.martini.name/: possiede una bella galleria fotografica e alcuni link con siti di tradizioni popolari.

In Lunigiana tra fisarmoniche e fiaschi di vinodi Renato Bruschi«Siam venuti a cantar maggio…», ovvero qui comincia l’avventura: una sfilza di strofe che elogiano la primavera e il buon cuore di chi sa accogliere menestrelli e coreuti di strada offrendo loro qualche leccornia, un po’ di buon vino e tanti, sinceri sorrisi.

Antonio Guscioni di Montereggio in Lunigiana, appassionato di tradizioni popolari, ne rammenta ad iosa di «maggi» che, precisa, si definiscon «lirici» poiché accompagnati da strumenti musicali, «maggi» che han scandito i tempi della vita, ravvivato la giovinezza, da sempre primavera della vita, e riempito di nostalgia l’età della canizie. Pur non essendo di Montereggio, Guscioni ha deciso di stabilirsi definitivamente qui, nella patria dei maggianti della Lunigiana, perché – dice – «tra queste pietre si conserva e si trasmette un patrimonio di inestimabile valore culturale». Il «maggio», la pratica del recitar cantando, non è infatti soltanto un miscuglio di riti propiziatori legati al culto della natura, ma una collaudata accademia di umanità.

Montereggio, paese dei librai, e altre località della Val di Magra, ogni anno nel giorno del primo maggio accolgono una dozzina di cantastorie che vanno a bussare di porta in porta, stornellando «in questa casa ci canta il cucco / e Dio del ciel (non) faccia bruciar tutto». Retaggio di quando il «maggio» era un modo per chiedere qualcosa, per ingrassare le magre sporte di cibo della società rurale, dando in cambio buoni auspici. Allora, ricordano i più vecchi, compagnie di maggianti spuntavano dagli angoli del borgo danzando a suon di musica e al corteo si aggiungevano frotte di ragazzi e giovinetti, in un crescendo emotivo che si concludeva con l’atteso trionfo bacchico.

In Lunigiana, sottolinea Fabio Baroni, bibliotecario a Fivizzano e curatore del museo di Casola, «il maggio» ha radici che si perdono nel tempo. Innanzi tutto il fenomeno ha interessato più località, non solo nella frazione di Mulazzo, ma anche nella Lunigiana storica, dalla costa di Massa e Carrara, fino a Zeri e Rossano dove «cantar maggio» era un modo per raccogliere elemosine a favore delle anime del purgatorio. «È proprio questa contaminazione di temi popolari e religiosi ad attestarne l’arcaicità». Mentre il «maggio epico» ancora oggi è praticato, durante i mesi estivi, soprattutto nella Valle del Serchio, in Lunigiana si è imposta la forma «primaverile o lirica» le cui caratteristiche rimandano a quella drammatica: corteo, suono di strumenti musicali e uso di costumi tradizionali.«Il maggio lunigianese – afferma Baroni – è più popolare rispetto a quello drammatico dove si stratificano temi collegati al ciclo cavalleresco carolingio e al culto di San Jacopo».

Ma chi canta oggi il «maggio»? Oltre ai veterani che per molti lustri hanno attraversato le strade con cappellacci, fisarmoniche e bicchieri di vino, da qualche anno anche giovani e giovinette del borgo, desiderosi di apprendere l’antico metro, si sono aggiunti al gruppo. Sono operai, impiegati, artigiani, figli di contadini che nel tempo libero si dedicano al folclore e al recupero di antiche tradizioni locali.

Il bello del maggio lirico – racconta uno di loro – è che andando di famiglia in famiglia capita di dover «personalizzare» il canovaccio e così la creatività diventa una nota frizzante e l’occasione per intavolare motteggi e scherni di buon gusto. «Donne vecchie e maritate, state attente alle vostre figlie, che non cascan nel periglio, che non cascan nel peccato, donne vecchie e maritate» (dal testo del maggio di Rossano risalente al Seicento).

E se il «cantar maggio» è tornato di moda puntualmente sono arrivate pubblicazioni, convegni, incisioni, filmati e studi di storia popolare nonché incontri tra gruppi canori, come quello in programma a Leivi, in provincia di Genova, domenica prossima 9 maggio, a cui prenderanno parte ben 15 associazioni provenienti dalla Lunigiana storica, da Genova e da Piacenza. Sarà anche un bene, non discutiamo, ma, come afferma un «maggiante» d’altri tempi, parafrasando Dante, «la poesia del maggio intender non la può chi non la pruova».

Castelfiorentino, Cantastorie e trampoli, torna In/Canti e BanchiDal 20 maggio torna «In/Canti e Banchi», il festival che ormai tradizionalmente apre la stagione estiva delle rassegne che accompagnano l’estate. Nel borgo di Castelfiorentino è la festa che, di anno in anno, squaderna vecchi e nuovi cantastorie, pescando fra le testimonianze orali di cantori che nel sud Italia, come in Toscana e Emilia e in molte altre regioni d’Italia, raccontavano di paladini, maghi e briganti, ladri per i più poveri. Ma non solo. Perché «In/Canti e Banchi» è anche il festival dell’amore e delle sorprese, degli scherzi teatrali all’aperto e di travolgenti e imprevedibili sit com, scenette, improvvisazioni che prendono spunto dalle avventure e disavventure messe in moto, immancabilmente a primavera, da un risvegliato e malizioso cupido. Così dal giovedì alla domenica, come ogni anno fioriscono racconti e fole raccontate da cantastorie, attori, mimi e burattinai nelle piazze e fra i banchi del mercato.

Un invito a godere di spettacoli dal vivo di forte impatto visivo, fra fuochi e piroette. Sono le magie di cui è esperta la Compagnia del Drago Nero, con i suoi racconti medioevali, narrati attraverso voci fuori campo e azioni sceniche ad effetto, danze, duelli, scanditi dal fuoco. Quest’anno toccherà a loro inaugurare la grande festa all’aperto castellana, con un nuovo show, presentato qui per la prima volta in occasione del decennale della compagnia. Fin dal venerdì sera la festa esplode con tutta la sua forza, fra tammurriate e antiche villanelle, fra sceneggiate e canzoni di millenario repertorio napoletano. È la musica a farla da padrona nelle irresistibili performances di Attrazioni napoletane e di una straordinaria formazione di cantastorie al femminile, Les Assurd, trio di notevoli musiciste, cantanti, affabulatrici che pescano ad ampie mani nel repertorio napoletano.

Ma c’è anche spazio per le gag rumoristiche, gli imprevedibili concerti per cucchiai, pentole, secchi, scope e quant’altro possa suonare. C’è spazio per la clownerie musicale dei Trabagai a Castelfiorentino, ma anche per gli stornelli di una storica coppia di cantastorie, Felice e Celina, «Cantastorie per scelta e per necessità» di resistere a una certa cultura dominante che uccide la fantasia. E ancora, tra i pezzi forti e i momenti più attesi del festival organizzato dal comune di Castelfiorentino in collaborazione con l’associazione teatrale Terzostudio, ecco sbocciare, il sabato, la Città amorosa: ammiccamenti, corteggiamenti, serenate e canti d’amore in tutte le salse, animazioni e laboratori, nidi d’amore di uccellini, palloncini a forma di cuore, e tutto quello che si può rubare all’immaginario kitsch per farne un’ironica e spassosa ricognizione dei temi dell’amore. Fra piogge di petali lanciati dall’alto dei trampoli, danze e racconti dall’antico Egitto e dai paesi del Medioriente raccontate a passo di danza da danzatrici professioniste dirette dal coreografo e danzatore Daniele Carnazza, italiano di nascita ma che a lungo ha studiato in Francia.

E ancora sul versante dell’installazione surreale, le statue umane, le bizzarre figurazioni dello straordinario mimo inglese Chris Channing. Sul versante della canzone e del teatro musicale, il talento di Felice Pantone, nome storico del teatro italiano, non solo di strada. E una polifonia di suoni dal mondo, fra concerti con il tradizionale strumento dei cantastorie, l’organetto di barberia, e suggestivi concerti all’aperto di musica celtica. Domenica, infine, spazio al mercato, con spettacoli per grandi e piccini, fra i quali spicca la novità del «Pinocchio» della compagnia Gat e il Circo degli Asinelli. Gran finale con il travolgente concerto itinerante della Bandarotta Fraudolenta. Per informazioni, associazione Terzostudio: tel.0571-485078.

In breveLirico ed epico, i due filoni di un’antica usanzaIl «canto del maggio» appartiene alla cultura popolare e fin dalle origini si è diviso nel filone «drammatico» o «lirico». Il primo interpreta temi storici, epici o religiosi ed è realizzato con azioni sceniche e con costumi elaborati; il secondo si colloca nel quadro delle feste primaverili o di maggio, ha un carattere più magico-propiziatorio, i costumi sono molto semplici e ricavati da materiale povero. Dei due «maggi» quello lirico è il più antico e il più originale, anche se oggi si tende a confonderlo con quello epico. In una trascrizione di un processo del XVIII secolo contro un noto personaggio di Casette, frazione di Massa, un testimone racconta di «un gruppo di persone che cantavano e danzavano come al maggio, ma toccavano tra loro anche le spade e alla fine si sono scambiate alcune uova». Il testimone evidentemente riferiva di un «maggio primaverile» (lo scambio delle uova aveva infatti un carattere bene augurante) con chiare contaminazioni con quello epico («toccare le spade»).Gli studiosi di tradizioni popolari hanno rilevato che il rito primaverile si sviluppa principalmente su due nuclei narrativi portanti: il tema della lotta e quello della fecondità. Entrambi entrano a far parte dello schema dei «maggi» nel quale il tema antagonistico viene espresso nei caratteri epici e guerreschi assunti dallo spettacolo e quello della fecondità diviene l’elemento amoroso, elegiaco. Essi concorrono alla determinazione delle caratteristiche narrative e drammaturgiche dello spettacolo. Nel maggio epico, l’argomento dei testi è soprattutto di tipo cavalleresco. I copioni sono scritti in italiano aulico e composti in quartine di ottonari a rima baciata (ABBA), da ariette in quintina e da ottave di endecasillabi (abababcc). La musica è basata su alcuni motivi fondamentali e ripetitivi che accompagnano il canto e creano dei brevi momenti di pausa nei dialoghi eseguendo motivi tradizionali non scritti ma tramandati ad orecchio di musicista in musicista a tempo di valzer, polka e mazurca. Il pubblico assiste a queste recite circolarmente intorno agli attori. Lo spettacolo è interamente coordinato da un suggeritore, detto «campione» che, copione alla mano, suggerisce il testo e i movimenti in scena ai vari attori.Il maggio lirico invece assomiglia alla «befanate»: un gruppo di cantanti va in corteo di casa in casa per questuare augurando felicità e buoni auspici alla famiglia che dona generosamente qualcosa: vino, pane e anche… denaro. La Columbia University studia il fenomenoIl «Maggio» non è un fenomeno che viene studiato solo in Italia. La Columbia University di New York dall’anno scorso ha organizzato dei corsi estivi ed ha inviato alcuni studenti alle rappresentazioni dei maggianti toscani. La professoressa Jo Ann Cavallo, docente di letteratura rinascimentale a New York, ha dichiarato: «Lo studio del Maggio mi ha aiutato a comprendere meglio il Boiardo. Sono rimasta affascinata quando sull’Appennino toscano ho visto i cavalieri che per molti anni avevo conosciuto solo sui libri». Il corso della Columbia University prevede la lettura e lo studio di testi medievali e rinascimentali e poi la visione di filmati realizzati durante i corsi estivi in Italia delle opere corrispondenti». Casola, nel museo una sezione dedicata ai MaggeriniIl Museo del territorio dell’Alta Valle Aullela che ha sede a Casola oltre a reperti archeologici preistorici, elementi decorativi da edifici medioevali e una notevole documentazione sugli usi e costumi della Lunigiana ospita anche una sezione dedicata al «canto del maggio drammatico» dove sono raccolti fotografie e abiti usati durante le manifestazioni popolari. Casola in Lunigiana Via IV Novembre,105. Tel. 0585/90361. Orario: invernale: 9-13 sabato e festivi, 9-12 e 15-18; estivo: 9-12 e 16-19 chiuso lunedi.Renato Bruschi