Cultura & Società

Si fa presto a dire toga…

di Ludovica SebregondiLa toga è oggi simbolo della professione forense, ma in origine, presso gli antichi romani, era un indumento destinato alle cariche pubbliche, al potere civile, all’attività politica. Caduta in disuso, fu poi utilizzata nuovamente nel Medioevo ma più ampia e lunga, dotata di maniche e colletto, e fungeva da abito solenne per alcune magistrature e per le classi sociali elevate. In Francia anticamente la potevano portare solo gli avvocati, mentre non era concessa ai procuratori; a Napoli nel 1563 il viceré emanò una prammatica con la quale fu stabilito l’obbligo per gli avvocati di indossarla, pena la sospensione per sei mesi dall’esercizio professionale e la perdita dell’abito utilizzato in sua vece. Nel Seicento agli avvocati fu imposto di portare anche la parrucca bianca: in Italia fu poi abbandonata, mentre in Inghilterra, gli imponenti parrucconi che opprimono le teste dei legali – riproposti con ironia da William Hogarth – costituiscono il tratto distintivo e peculiare di un’intera casta.

Al contrario della parrucca, la toga è giunta fino a noi come veste tradizionale di giudici e avvocati nei dibattiti processuali delle aule italiane: un regio decreto del 1927 tuttora in vigore, prevede per i procuratori la toga «chiusa ed abbottonata in avanti con colletto largo cinque centimetri e orlato da una leggera filettatura in velluto e cordoni e fiocchi di seta nera; cravatta di battista bianca con merlettino e tocco in seta senza alcun distintivo». Per gli avvocati invece la toga è «aperta, con larga mostratura in seta, colletto largo venti centimetri ed orlato da fascia di velluto dell’altezza di tre centimetri, maniche orlate da fascia di velluto dell’altezza di dieci centimetri, cordoni e fiocchi di argento misto a seta nera, o d’oro misto a seta nera (nelle proporzioni di due terzi e un terzo) a seconda che siano iscritti nell’albo di un collegio o nell’albo speciale, cravatta di battista, bianca con merlettino, e tocco in seta fregiato da una fascia di velluto». Prevede la legge che vengano indossate sia nelle udienze dei tribunali che delle corti, con sanzioni disciplinari nei confronti degli inadempienti.

Ma oltre che un obbligo, la toga rappresenta un onore, in quanto simbolo esteriore della funzione dell’avvocato, connesso storicamente al grande rilievo che ebbero i dottori in iure: nello Studio di Bologna dovevano anche portare la pelliccia, e pure a Padova usavano lo scarlatto foderato di vaio. In tempi più recenti, e fino al 1796, i «Dottori del Jus Canonico e Civile» bolognesi indossavano una toga nera accompagnata da una corta mantellina di vaio e con due facciuole bianche, mentre i donzelli giravano per le aule reggendo i «cartelloni», cioè ruoli o rotuli, dei docenti e lettori. Proprio i docenti dello Studio bolognese sono stati tra quelli che hanno avuto maggiore peso nella storia del diritto: se Irnerio è il fondatore della disciplina civilistica, il monaco camaldolese Graziano (anch’egli docente a Bologna) è considerato il padre di quella canonistica, per la sua opera nota appunto come Decretum Gratiani.

La supremazia della Scuola felsinea è testimoniata anche dalle numerose miniature in opere giuridiche che si devono ad artisti bolognesi: così in un esemplare delle cosiddette Clementine (testi legislativi canonici ordinati da Clemente V), conservate nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, appare papa Giovanni XXII mentre le consegna a un ecclesiastico e a un dottore. L’imperatore Giustiniano ha naturalmente una posizione di rilievo in queste raffigurazioni: viene mostrato intento a discutere, o in atto di ricevere il testo delle Institutiones da Papiniano, Triboniano e da altri famosi giuristi che hanno contribuito alla compilazione del Corpus iuris civilis, di cui le Institutiones costituiscono una parte.

Diritto civile e canonico erano definiti (al pari della medicina) «discipline lucrative» e i maestri delle grandi scuole giuridiche potevano diventare persino nobili, oltre che naturalmente ricchissimi: l’elevata posizione sociale di molti di essi ci viene testimoniata dalle imponenti tombe e dai grandiosi monumenti funebri loro dedicati.

Le raffigurazioni allegoriche legate al mondo legale ripropongono la Giustizia (una donna bendata con la bilancia e la spada), ma anche la Legge, che può apparire assisa in trono al culmine di una scala su cui sono disposte le altre arti liberali, mentre la Giurisprudenza può essere incarnata dal Corpus Juris Iustiniani, dal busto di Giustiniano stesso, e anche dal Giudizio di Salomone.

Ma l’universo degli avvocati risulta legato soprattutto agli studi ingombri di testi e carte o ai tribunali delle diverse città che usufruivano spesso di ambienti grandiosi; le aule di giustizia ci vengono anche riproposte nelle numerose immagini legate ai grandi processi di fine Ottocento: quello a Zola alle Assise parigine nel 1898, quello al brigante Musolino tenutosi a Lucca nel 1902, ma anche l’altro nel corso del quale, a Roma nel 1882, fu processata la moglie del capitano Fadda, accusata di averlo assassinato con la complicità dell’amante. Le immagini delle udienze sui giornali dell’epoca avevano lo scopo di rendere familiari ai lettori volti e atteggiamenti di imputati, avvocati e testimoni.

Grandiosi progetti architettonici per Palazzi di Giustizia o Corti d’Assise hanno caratterizzato l’Italia degli ultimi decenni del XIX secolo: spesso si tratta solo di puri esercizi accademici, mentre emblematico del gusto del tempo è il palazzo della Corte Suprema di Cassazione a Roma, eretto dall’architetto Guglielmo Calderoni nel 1888-1911 e detto «Palazzaccio» per le proporzioni enormi e le decorazioni ispirate a motivi cinquecenteschi e barocchi. Per l’edificio erano stati presentati numerosi progetti negli anni precedenti, tutti comunque caratterizzati dalla magniloquenza dell’epoca.

La più ironica – e severa – immagine di un Giurista si deve ad Arcimboldo, che in una delle sue allegorie, o «teste composte», immagina un essere il cui naso è formato da un uccello rapace spennato, mentre il corpo è costituito da fogli e libri che fuoriescono da un mantello bordato di pelliccia. La stessa ironia è palese anche nell’acquaforte di Giuseppe Maria Mitelli sul Dottore versato in tutte le scienze, e nelle numerose litografie che Honoré Daumier ha dedicato al mondo forense.

Il tipo dell’intellettuale presuntuoso e ignorante è impersonato nel Seicento dalla maschera del dottor Balanzone, cioè – secondo taluni critici – del venditore di panzane e frottole. «Egli è la caricatura dei vanitosi dottori legisti […] che hanno molte arie di sapere e sono invece d’una ignoranza asinina», fa dire Alfredo Testoni al cardinale Lambertini, protagonista dell’omonimo lavoro teatrale. Altri studiosi fanno invece risalire il nome Balanzone alla grande bilancia simbolo della Giustizia e dunque – di conseguenza – degli avvocati, categoria alla quale appartiene la famosa maschera bolognese.

Anche i proverbi mostrano il sentire popolare nei confronti del mondo di legali e legulei: la paura di essere trascinati in una causa dispendiosa e poco fruttuosa, o il difficile rapporto dei contadini con le leggi scritte, sono all’origine dei detti toscani È meglio un magro accordo che una grassa sentenza, o Carta canta, e villan dorme resi in immagine da Giuseppe Piattoli nel 1788. Ma anche scene di genere che presentano Un villano in cattive mani o le caricature che mostrano Avvocato e cliente sono rivelatrici del rapporto con una certa realtà, che appare fonte di tranelli per gli sprovveduti.

Gli «avvocati in musica» non sono numerosi e comunque risultano più frequenti nelle operette che nelle opere liriche: a Nicla Fornasini si deve L’Avvocato in angustie, presentato a Napoli nel 1831; Achille Montuoro ha composto nel 1871 l’opera semiseria in tre atti L’Avvocato Patelin su testo di Emilio Praga. L’operetta Addio Giovinezza, di Giuseppe Pietri, narra dell’amore di Carlo, studente di giurisprudenza e di Emma, e appaiono avvocati anche ne La bazoche (opèra-comique con musica di André Messager), in Die Fledermaus di Johann Strauss jr., in Al Cavallino Bianco, operetta messa in musica da Ralph Benatzky, dove uno dei protagonisti è il dottor Siedler, noto legale di Berlino. Finti avvocati compaiono nell’opera comica Die Schweigsame Frau (La donna silenziosa) di Richard Strauss, mentre nello studio dell’avvocato Kolenaty si svolge il primo atto del Caso Makropulos, opera in tre atti di Leóš Janácek. Ma è soprattutto nella filmografia americana che sono descritte figure di legali straordinari: come dimenticare l’avvocato progressista interpretato nel 1962 da Gregory Peck ne Il buio oltre la siepe, simbolo di impegno e di passione civile?

I proverbi• L’avvocato non ha l’occhio alla borsa del cliente, ma alla sua. • La borsa trema davanti la porta dell’avvocato. • Al medico e all’avvocato non tener il ver celato. • È cosa difficile litigarecontro un avvocato. • La penna dell’avvocatoè un coltello di vendemmia. • L’avvocato, d’ogni stagionemiete e d’ogni tempo vendemmia. • Piatire e litigareall’avvocato è un vendemmiare. • Né il medico né l’avvocatosanno regolare il fatto proprio. • La veste degli avvocatiè foderata dell’ostinazione dei clienti. • Gli sciocchi e gli ostinati Fanno ricchi gli avvocati. • Colle mani in mano non si va dagli avvocati. • Nessun buon avvocato piatisce mai. • Tre cose simili: prete, avvocato e morte. Il prete toglie dal vivo e dal morto; l’avvocato vuol del diritto e del torto;e la morte vuole il debole e il forte.

•La borsa dell’avvocato è una bocca d’inferno…

•Se l’inferno non è pieno, giammai ci sarà avvocato salvo. • Il processo è un bell’albero nel giardino dell’avvocato, che piglia radice e non muore mai. • La penna dell’avvocato è un amo. • Gli avvocati hanno lunghi giorni di lavoro.

• Gli avvocati amano i ducati.

• Gli avvocati non vivono di liti, ma della canna con cui le misurano. • Chi dice avvocati dice scorticatori e scorticati… •L’avvocato allunga le liti comeil ciabattino allunga il cuoio.

• L’avvocato sogna sempre liti.

• Cattivo quell’avvocatoche non perde nessuna lite. • Litigare contro gli avvocati è lo stesso che combattere contro il diavolo. • Più sono gli avvocati e più sono le liti. • Chi va a consultar gli avvocati non sia parco a sborsar ducati. • Non è l’avvocato, è il danaro che vince la lite.

L’avvocato. Immagini di una professione, a cura di Ludovica Sebregondi, Paolo Viti, Raffaella Maria Zaccaria, ricerca iconografica di Ludovica Sebregondi, uscito nel 2004 presso la Vallecchi. La Casa Editrice fiorentina ha avviato – sotto la direzione degli stessi autori – una collana per bibliofili dedicata alle professioni. Sono già usciti i volumi sul Notaio e il Medico, ed è in preparazione quello sul Farmacista.

Al Decalogo dell’avvocato di Alfonso Maria dei Liguori (avvocato e poi santo), segue una introduzione generale e tre introduzioni che precedono i capitoli di testi antologici affidati ai curatori: Raffaella Maria Zaccaria per l’ambito storico, Paolo Viti per quello culturale, e Ludovica Sebregondi per i temi artistici e antropologici.Il volume – di grande formato, rilegato in pelle e racchiuso in un cofanetto ligneo rivestito in pelle – consta di 208 pagine, è arricchito da 110 immagini e corredato di riferimenti bibliografici e iconografici. Stampe, affreschi, dipinti, incisioni, spesso inediti o poco noti, conferiscono un aspetto «antico» al libro. Informazioni sul sito www.vallecchi.it