Italia
Settimane sociali, dai cattolici un’«Agenda» per ricreare speranza
di Riccardo Bigi
«Diciamoci la verità: l’Italia è messa male. Ha bisogno di ripartire dal punto di vista politico, economico, culturale, educativo. E i cattolici possono dare un contributo importante in questa fase della storia del Paese». Luca Diotallevi, docente di sociologia all’Università di Roma, è vicepresidente del Comitato organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici italiani: questo venerdì 17 settembre, a Firenze, partecipa con monsignor Giuseppe Betori (arcivescovo di Firenze e presidente dei vescovi toscani) alla presentazione del contributo che la Diocesi fiorentina ha preparato in vista dell’appuntamento, ormai vicinissimo, di Reggio Calabria.
A meno di un mese dall’incontro nazionale (14-17 ottobre), Diotallevi anticipa a Toscana Oggi le sue riflessioni. «Possiamo dire afferma che il cammino preparatorio verso la Settimana sociale è sostanzialmente finito, e il bilancio è molto positivo: avevamo proposto un processo di discernimento che portasse a definire un’agenda di temi e di impegni per lo sviluppo del Paese, e sono molti gli enti e gli organismi che hanno partecipato. Questo successo non è merito del comitato di cui faccio parte, che ha solo offerto l’occasione di far partire questo processo, ma è merito del fatto che nel mondo cattolico ci sono soggetti vitali capaci di assumersi responsabilità per il bene comune: e non solo individualità, ma collettività in grado di elaborare idee».
Il frutto di questo lavoro è il documento «Cattolici nell’Italia di oggi» che vuole rappresentare, come recita il sottotitolo, «un’agenda di speranza per il futuro del Paese» (Settimana sociale, documento preparatorio). Un Paese, non esita a dire Diotallevi, che di speranza ha molto bisogno, per tanti aspetti. Soprattutto, aggiunge (da umbro) nelle regioni del centro: se il nord infatti mostra vivacità dal punto di vista economico e imprenditoriale, se il sud si mostra capace di crescere dal punto di vista demografico, il centro Italia appare stagnante.
I punti che sono stati raccolti e messi nero su bianco in questa «agenda per l’Italia», spiega Diotallevi, possono essere raggruppati in cinque grandi ambiti: l’economia, e in particolare il rilancio delle imprese; l’educazione; l’inclusione sociale degli stranieri; l’inserimento lavorativo dei giovani; le riforme istituzionali. In generale, si tratta di spunti che guardano alla crescita e allo sviluppo del Paese. «L’Italia secondo il sociologo non può permettersi, come fanno altri Paesi, di aumentare la spesa pubblica, anzi deve tagliare il debito pubblico. Ma questo va accompagnato con misure che possano produrre crescita: e questo lo si può fare liberando quelle energie sociali che finora sono rimaste compresse. Ci sono troppi pezzi di Paese che vanno a velocità diverse, e il tessuto sociale rischia di strapparsi. Non penso solo al divario tra nord e sud: penso anche a quello, dal punto di vista delle condizioni lavorative, tra giovani e anziani, o tra le esigenze dell’imprenditoria e le lentezze della pubblica amministrazione».
Dal punto di vista economico, dunque, il documento per la prossima Settimana sociale chiede come sia possibile «ridurre precarietà e privilegi nel mercato del lavoro, aumentandone partecipazione, flessibilità (in entrata e in uscita), eterogeneità» ma anche come ridistribuire la pressione fiscale, «spostandola dal lavoro e dagli investimenti alle rendite», e quali politiche fiscali (e sociali) è necessario adottare «per riconoscere e sostenere la famiglia con figli»: sottolineando che «una fiscalità e servizi che riconoscano la funzione pubblica della procreazione e dell’educazione dei figli sono soprattutto un segnale chiaro del fatto che l’Italia vuole ancora credere nel suo futuro». Il secondo capitolo è proprio quello dell’educazione: qui si chiede di «dare più strumenti a scuola e famiglia» per esecitare la loro funzione educativa e di incentivare l’assunzione di responsabilità da parte dei genitori. Sul fronte dell’immigrazione, tra le questioni poste dall’Agenda per l’Italia c’è quella dei meccanismi, forse da semplificare, in base ai quali viene concessa la cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia. Poi c’è il capitolo sui giovani, che rischiano di essere quelli che pagano in maniera più pesante la crisi economica: le tematiche proposte in particolare sono due, una diversa organizzazione del sistema universitario e una riduzione delle barriere per l’accesso alle professioni. Infine la riflessione sulle riforme istituzionali e sul federalismo, che si riassume in una domanda: «quale forma di governo (con contrappesi adeguati e una legge elettorale coerente) per completare la transizione secondo criteri di sussidiarietà, di responsabilità imputabile e di efficacia?».
Si tratta di spunti e proposte, ribadisce Diotallevi, che vogliono liberare risorse sociali, culturali, intellettuali già presenti: «Pensiamo ai lavoratori e agli imprenditori che hanno ancora voglia di investire sul rilancio dell’Italia. Pensiamo ai vari soggetti sociali capaci di educare: scuola, famiglia, associazioni, comunità elettive. Pensiamo a quanto possono dare al Paese quegli stranieri che hanno voglia di vivere in Italia rispettando le regole, e che meritano fiducia. Pensiamo a quelle barriere di autoprotezione che garantiscono chi lavora già ma che rendono difficile l’accesso al lavoro per tanti giovani. Pensiamo a un nuovo assetto istituzionale che può avvicinare la politica ai cittadini».
Tante dunque le domande e le proposte su cui si incentrerà il dibattito alla Settimana sociale di Reggio Calabria. Ma chi sono gli interlocutori a cui queste domande vengono rivolte? «A tutti, indistintamente risponde Diotallevi ma certamente in modo particolare al laicato cattolico italiano, che non può non ascoltare il richiamo a operare nella società per il bene comune». Proprio sul ruolo e sulla presenza del laicato cattolico si è svolto nei giorni scorsi un interessante dibattito sulle pagine del Corriere della Sera, con interventi di Giuseppe De Rita e Dario Antiseri sulle difficoltà dei cattolici di esprimere una propria rappresentanza a livello politico. In questo dibattito, Diotallevi si inserisce sottolineando che l’Italia «è un Paese fatto di tante minoranze: possiamo dire quindi che quella cattolica, che potremmo definire maggioranza relativa o perlomeno minoranza più grande delle altre, è una componente che ha grandi responsabilità sul futuro del Paese. Se oggi trova poca rappresentanza in politica, è anche per via di un ceto politico che non sembra permeabile: è normale che tante energie umane, non trovando vie di sbocco nella politica, abbiano cercato altre strade. Certo è che un cambiamento in questo senso richiede cattolici che sappiano muoversi all’interno dell’attuale sistema politico, che non è più quello in cui operava la Dc». Il sociologo fa notare anche un dato interessante: se guardiamo tra i sindaci e tra i consiglieri comunali, troviamo un gran numero di cattolici, più di quanto accada in altri enti locali e nazionali: frutto di una vitalità che si esprime meglio e di più a livello locale, ma anche di un sistema elettorale, quello comunale, che premia il voto moderato.