Italia

Settimana sociale, giovani: “Processi di cambiamento”

Abbiamo incontrato online Azzurra Bassi, 37 anni, e Beatrice Buchignani, 26 anni, delegate a Trieste rispettivamente per le diocesi di Pisa e Lucca. Entrambe hanno fatto riferimento alle parole di papa Francesco pronunciate alla chiusura dell’incontro. E poi il mondo giovanile: ci sono molti giovani che hanno voglia di partecipare, non serve un intervento dall’esterno»

Dobbiamo «scommettere sul tempo, avviare processi, non prendere luoghi. Il tempo è superiore allo spazio e non dimentichiamo che avviare processi è più saggio di occupare spazi. Io mi raccomando che voi, nella vostra vita sociale, abbiate il coraggio di avviare processi, sempre». Azzurra Bassi e Beatrice Buchignani sono entrambe ripartite da queste parole di papa Francesco pronunciate a Trieste. Entrambe erano delegate alla Settimana sociale dei cattolici che si è svolta dal 3 al 7 luglio e le hanno ascoltate dal vivo. Le abbiamo incontrate in un forum online per farci raccontare la loro prospettiva di quest’esperienza. Azzurra vive a Pisa, ha 37 anni e lavora come amministrativa della Scuola Superiore sant’Anna, è sposata e a Trieste era delegata per l’arcidiocesi di Pisa. Beatrice, 26 anni, era delegata per l’arcidiocesi di Lucca, dove vive nella frazione di Santa Maria a Colle, è vicepresidente del Consiglio pastorale della comunità parrocchiale Oltreserchio sud e fa parte del Consiglio pastorale diocesano, è laureata in storia all’Università di Pisa e sta proseguendo gli studi. E abbiamo scoperto nel corso dell’incontro che hanno anche fatto il viaggio di andata e ritorno insieme con i delegati delle due diocesi. Perché questo forum? Perché volevamo avere da loro il punto di vista dei giovani su quest’esperienza e soprattutto sul dopo Trieste.

Che cosa vi ha sorpreso di più di questi giorni a Trieste magari ripensandoci a mente fredda una volta rientrate a casa?

AZZURRA: «È stato percepire questa necessità di risvegliare un po’ le coscienze, la necessità di riscoprire l’avere a cuore la società in cui si vive, i vari ambienti che ogni persona abita che sono poi i più diversi. Come diversi erano a Trieste gli ambienti tematici: dal lavoro ai giovani, dalla democrazia in senso stretto alla partecipazione. Partecipare è un qualcosa che si assopito in questi ultimi tempi probabilmente anche a causa della pandemia. E invece c’è un desiderio profondo delle persone di riscoprire la partecipazione, l’”i care” di don Milani. Tutto ciò risveglia la coscienza della società».

BEATRICE: «Sono tornata a casa con un po’ di ottimismo. Vedere tutte quelle persone che già nella loro vita hanno impegni di lavoro o di volontariato e che non si tirano indietro ma si spendono per gli altri è qualcosa di positivo. Di fronte a una realtà in cui ci sono tanti problemi e questioni gravi – dalle guerre alle crisi economiche – vedere mille persone (e tra queste tanti giovani) disposte a creare reti e nuovi progetti è bello. E se c’erano quei 1000 a Trieste vuol dire che ce ne sono anche tanti altri che non erano presenti ma desiderano partecipare e impegnarsi per la società nell’ambito civile, sociale, politico».

Entrambe avete usato il verbo «partecipare». Mattarella ha posto l’accento sulla democrazia che non può essere a «bassa intensità» e che ha bisogno di partecipazione. Che cosa può fare ognuno di noi per cercare di invertire la rotta?

BEATRICE: «Prima della Settimana sociale abbiamo fatto un incontro preparatorio con il professor Sebastiano Nerozzi dell’università Cattolica di Milano, segretario del Comitato scientifico organizzatore, che ci ha portato un rapporto sullo stato delle democrazie nel mondo. L’Italia risulta essere scesa nella classifica tra i paesi democratici mentre prima era tra le democrazie più forti. Il primo elemento per cui è zoppicante è proprio la scarsa partecipazione al voto: la partecipazione è un principio democratico fondamentale. Se le persone che votano sono troppo poche poi anche coloro che vengono eletti sono rappresentanti di una percentuale molto bassa della popolazione degli elettori. Questo è uno dei punti di partenza sul quale dobbiamo lavorare nel dopo Trieste».

AZZURRA «A me vengono in mente tre punti. Il primo è riscoprire una democrazia aperta: questo può iniziare da ciascuno. A Trieste c’erano le “piazze di democrazia” che rendevano visibile il concetto di ritornare tra la gente per far riscoprire che tutti possono essere protagonisti. Il secondo punto è risvegliare la consapevolezza: la democrazia nasce e si coltiva con l’impegno di ciascuno. La politica e i mezzi di comunicazioni devono sensibilizzare le persone sul fatto che il voto di ciascuno conta ed è importante. Il terzo è legato alla sfiducia verso la politica e la società. E’ necessario far conoscere le buone pratiche come a Trieste c’erano gli stand dove si portava questa testimonianza»

Spesso si dice che i giovani sono importanti per la società e per la politica questa frase poi non si traduce in concretezza…

AZZURRA «Bisogna cambiare il modo di pensare: i giovani non devono essere visti come futuro ma come presente. In secondo luogo, bisogna scommetterci davvero e cercare di creare le condizioni favorevoli per farlo, nella società civile come nella Chiesa. Io ho avuto la possibilità di candidarmi in una lista civica alle elezioni comunali dello scorso anno. All’interno della lista civica c’era proprio un piccolo settore dedicato ai giovani: bisogna creare degli spazi dove i giovani possano in qualche modo esprimersi. A Trieste è stato bello che i giovani potessero partecipare ai lavori di gruppo insieme ai vescovi e a persone adulte così da creare un dialogo e uno scambio di esperienze. È necessario ascoltare i giovani. Anche nella mia diocesi ci sono tanti luoghi di confronto dalla pastorale giovanile alle associazioni che sono stati messi in contatto. Speriamo che Trieste possa dare ancora più impulso».

BEATRICE «Non ho una soluzione. Credo però che ci siano molti giovani che hanno voglia di partecipare e credo che non serva un intervento dall’esterno. Possono trovare da soli i loro spazi e bisogna anche accettare che partecipino a modo loro, con delle forme che magari non erano quelle di trent’anni fa: le generazioni cambiano, i tempi cambiano. Vedo piuttosto un problema della partecipazione giovanile su quella fascia di ragazzi che non hanno un minimo di strumenti culturali. C’è chi ha meno opportunità di accesso agli studi per situazioni sociali, familiari, economiche difficili e rimane tagliato fuori. La realtà oggi è complessa e senza certi strumenti culturali la si comprende difficilmente. E questo non è un problema solo dei giovani. Anche i giovani che erano a Trieste erano quasi tutti studenti universitari o neolaureati o giovani professionisti, ovvero persone con un livello di istruzione alto è normale. In quel contesto probabilmente era necessario ma dobbiamo trovare spazi anche per tutti gli altri».

La realtà è complessa, dicevate. E il Papa ha sottolineato come spesso ci sia una politica più del parteggiare che del partecipare, una politica da tifosi che non guarda al dialogo. A partire dalla vostra esperienza, come si può cambiare?

BEATRICE «Io vivo in campagna, in un luogo non centrale. Sul mio territorio, in un piccolo paese, è stato aperto un centro civico a partire da un patto di collaborazione tra cittadinanza e amministrazione comunale ed è stato dato in uso alla popolazione. Lì c’era una vecchia scuola elementare che era stata chiusa ed era diventato da anni un magazzino. La popolazione se n’è riappropriata. Per esempio, alcuni giovani hanno aperto un’aula studio. E poi vengono fatte tante attività. Un piccolo gruppo se n’è assunta la responsabilità iniziale ma poi sono state coinvolte altre persone, la partecipazione è contagiosa. Adesso vengono persone anche da altri paesi e anche dalla città che magari avrebbero già maggiori occasioni di incontro. È solo un piccolo esempio. Ma così si è messa in collegamento la popolazione e si è creato un percorso di partecipazione che arriva a tutti, a persone di ogni estrazione sociale, di ogni età, di ogni formazione».

AZZURRA «La politica oggi guarda spesso solo al breve periodo, all’immediato, anche con soluzioni per così dire “sempliciotte”. Invece il mondo è complesso e serve anche un ragionamento e delle soluzioni complesse. Purtroppo si è persa questa capacità di riflettere, di pensare, di conoscere i problemi con profondità. E così ci si ferma alla superficie e ci si accontenta dell’immediato. La politica deve risvegliare la necessità di un pensiero complesso. E poi un esempio che riguarda il mio impegno. Nella campagna elettorale nel mio comune avevamo riscoperto la necessità di creare situazioni di relazione, di incontro. A partire da incontrare le persone quasi porta a porta, creando luoghi dove le persone si possano incontrare. È necessario permettere un contatto più diretto tra le istituzioni e la cittadinanza perché c’è bisogno di riscoprire una relazione più stretta».

Il centro civico per Beatrice, il porta a porta con le persone per Azzurra: è interessante, nell’era dell’intelligenza artificiale, che si vadano a riscoprire le relazioni dirette con le persone, sembra quasi un paradosso. E forse va incontro a una cosa che spesso dice il Papa, ovvero evitare la cultura dello scarto. Quando lo scarto può essere il migrante, la persona sola o l’anziano della porta accanto. Quanto è difficile seguire questa strada?

AZZURRA «È faticoso perché comporta di ripartire da un lavoro più quotidiano. I social e il web però non vanno demonizzati perché sono una grande opportunità per arrivare a tante persone se ben usati. Per esempio i contributi condivisi via social dalla Settimana sociale sono stati importanti anche per raggiungere chi a Trieste non c’era. Ho partecipato all’ambito tematico del “lavoro” e una delle necessità emerse era ripartire proprio da un’umanizzazione del lavoro, ovvero un lavoro che rimetta al centro le relazioni e le persone. Così deve fare anche la politica perché altrimenti si perde il contatto con il tessuto sociale: è faticoso ma è l’unico modo. Mattarella durante la visita in Brasile ha detto che i regimi autoritari funzionano in maniera più veloce, perché c’è uno solo che decide. La democrazia invece ha bisogno di tempi lunghi perché tutti sono chiamati a partecipare. Per cui ci vuole tanta pazienza ma questo è stato il metodo usato anche a Trieste per lavorare».

BEATRICE «Tutta la Settimana sociale è stata incentrata sull’importanza delle relazioni e Trieste è stato un luogo di relazioni. Sono state usate per questo le metafore della stoffa, della trama, dell’ordito e lo sforzo per andare a ricucire i buchi che si creano nel tessuto sociale. Il Papa dice di avviare dei processi di cambiamento e di non guardare subito al fine ultimo che non sappiamo esattamente quando arriverà. L’importante è il processo che ci mette in cammino. Questo è un modo di pensare che adotta anche il nostro arcivescovo in diocesi di Lucca: si lavora sull’avviamento delle cose attraverso le relazioni e con una partecipazione democratica che è più faticosa e richiede tempi più lunghi. Ma l’unico modo per mettere in moto dei processi condivisi in cui le cose si fanno con la partecipazione di più persone».

Quindi adesso dovrete, come delegati, mettere in moto dei processi per riportare in diocesi tutto il lavoro fatto a Trieste. Come farete?

BEATRICE «A me hanno già chiesto di raccontare nel mio Consiglio pastorale quello che è stato Trieste: è un punto di partenza. Poi alcuni temi che sono stati trattati si possono anche portare e calare nella realtà parrocchiale e utilizzare come indirizzo, come ispirazione. Insieme agli altri delegati si potrebbe inoltre fare un lavoro a livello diocesano, magari creare degli incontri dove si racconta l’esperienza per rendere partecipi anche le persone che non erano a Trieste. Infine il vescovo e l’ufficio di pastorale sociale e del lavoro ci faranno altre proposte».

AZZURRA «Anche noi, come delegati di Pisa, dobbiamo rivederci per concretizzare. Ma le occasioni diocesane per riportare il lavoro e l’esperienza di Trieste non mancheranno. Magari si potrebbero fare dei percorsi tematici aperti a tutti per riportare al centro le tematiche vissute a Trieste. Magari si potrebbero fare degli incontri a livello di unità pastorali, a livello di associazioni e di movimenti. Credo che sia importante anche testimoniarla quest’esperienza vissuta e poi mettere in pratica qualche percorso anche per i giovani stessi sulla partecipazione, sulla democrazia, sul lavoro sulle tematiche».