Italia
Settimana sociale: Baturi, consola la presenza di giovani
Il segretario generale della Cei: “C’è un clima di gioia, che parte dalla consapevolezza di essere presente dentro un evento percepito come importante. E sia il cardinale Zuppi che il presidente Mattarella hanno dato ragione a questa importanza”.
“C’è un clima di gioia, che parte dalla consapevolezza di essere presente dentro un evento percepito come importante. E sia il cardinale Zuppi che il presidente Mattarella hanno dato ragione a questa importanza”.
Mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, descrive così al Sir l’atmosfera che si respira qui a Trieste, dopo l’esordio di ieri pomeriggio e l’inizio dei lavori in plenaria di oggi, mentre questo pomeriggio cominciano in tutta la città gli incontri delle “Piazze della democrazia”. “Sia il cardinale Zuppi che il presidente Matarella hanno sottolineato il grande valore delle Settimane sociali e dell’impegno sociale dei cattolici, caratterizzato dalla volontà di costruire, dialogare, proporre, non per lamentarsi di ciò che manca ma per trovare strade buone per affermare la dignità, la libertà dell’uomo, la solidarietà”, osserva mons. Baturi, secondo il quale un dato molto significativo che caratterizza questa 50ma edizione delle Settimane sociali “è la presenza di tanti giovani, molti dei quali portano esperienze di solidarietà e di impegno da proporre a tutti coloro che partecipano a questo appuntamento. E’ una presenza di grande consolazione e di grande speranza”.
Partecipazione e solidarietà sono state le due parole al centro dell’intervento di apertura del cardinale Zuppi: per il segretario generale della Cei, “sono due parole intimamente connesse: non c’è vera solidarietà, cura della persona, dei gruppi, delle comunità, dei poveri, di chi sbarca sulle nostre coste, senza partecipazione. Non possiamo delegare a nessuno la solidarietà, che è un compito di tutti, perché la felicità, la salvezza di mio fratello mi riguarda”. Tutto ciò, per mons. Baturi, “anche a livello politico promuove la partecipazione attiva delle famiglie, delle associazioni, delle parrocchie, della società civile, degli enti sociali, delle persone e dei gruppi: il bene comune è prendersi cura”. “I nostri primi interlocutori – puntualizza il segretario generale della Cei – non sono i politici: siamo noi, la comunità di credenti, gli uomini e le donne che nello stesso luogo condividono lo stesso destino e che devono poter avere la libertà di prendersi cura. Non per doverismo, ma perché il prendersi cura è ciò che dà gusto, calore e significato alle nostre vite. E’ ciò che ci garantisce una vita piena, vera e felice”.