Livorno
Sette fili di un unico morbido gomitolo
Il secondo filo è quello della Parola di Dio, che in poche righe traccia la cornice di senso di questa veglia di preghiera: il brano di Genesi della creazione dell’uomo e quello di Luca della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Come a dire, la nostra identità e la nostra missione nel mondo, anche come lavoratori.
Il terzo filo è quello delle parole del celebrante, don Gabriele Bezzi, assistente diocesano dell’Azione Cattolica, che commenta il brano evangelico: “Non parliamo di moltiplicazione dei pani, ma anzitutto di divisione; Gesù compie un gesto rivoluzionario perché per moltiplicare prima bisogna dividere e con-dividere; di fronte alla globalizzazione dell’egoismo oggi imperante bisogna rispondere con la globalizzazione di scelte e comportamenti virtuosi, che puntino alla sobrietà, all’essenzialità, alla condivisione; come Gesù è presente nel pane, nell’Eucaristia, ma lo si riconosce solo dallo spezzare il pane, così anche noi Suoi discepoli possiamo farci riconoscere dallo stesso gesto, condividendo”.
Il quarto filo è quello delle testimonianze: Ada Carpentiere; Carmelo Triglia; Mauro Nobili, imprenditore. Hanno parlato della loro esperienza lavorativa, dei loro diversi percorsi in mezzo alla tempesta della crisi, del lavoro visto dalla loro particolare prospettiva: l’importanza del sindacato, la tragedia degli infortuni sul lavoro, la dignità umana sempre al primo posto.
Il quinto filo è quello dei gesti simbolici, oggetti portati all’altare a sottolineare il significato di alcuni brani letti in sottofondo. Alcuni ceri colorati, per rappresentare la favola delle quattro candele: la pace, la fede, l’amore, che se non alimentate si spengono, e l’ultima candela, la speranza, che sempre le riaccende tutte e tre; una pagnotta di pane, per commentare un brano di papa Benedetto sull’Eucaristia, con una frase veramente terribile: “Una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per portare loro l’amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude”; delle ceste piene di sacchettini di sale, ad accompagnare il brano che spiega l’etimologia della parola “salario”, che prende il nome dall’antica usanza di pagare i soldati romani con una certa quantità di sale e che nel Nuovo Testamento diventa simbolo di sapienza, incorruttibilità e fedeltà a Dio. Sacchettini che poi alla fine della veglia vengono distribuiti a tutti i presenti, perché anch’essi siano “sale della terra”.
Il sesto filo è quello della preghiera comunitaria, con le tante invocazioni: “perché ci sia lavoro per tutti, per le famiglie che si trovano in difficoltà a causa della mancanza di lavoro, per le imprese che faticano a mantenere i posti di lavoro, per i poveri, per i governanti e i politici, per i giovani che un lavoro lo devono ancora trovare”.