Opinioni & Commenti

Settant’anni fa l’abolizione del «Lei». Altri tempi, altre «veline»

di Ennio Cicali

Agli inizi del 1938, dalle pagine del Corriere della sera, il linguista fiorentino Bruno Cicognani proponeva l’abolizione del «Lei» come formula di cortesia propria dell’italiano corrente e apparentemente corretto. Secondo il parere dello studioso, si trattava di una terminologia importata e servile, modellata sullo spagnolo Usted, non appartenente alla tradizione linguistica e latina. In luogo del «Lei», Cicognani suggeriva il «Tu» o il «Voi», secondo le circostanze.

Subito una «velina» (non una delle ragazze che animano oggi gli show televisivi, ma un foglio di carta sottile adoperato allora per scrivere più copie) imponeva l’abolizione del «Lei». Altre «veline», così si chiamavano i fogli a disposizione del partito fascista, fissavano per gli italiani norme di comportamento dettagliate, tra le più disparate e ridicole: dall’uso del saluto romano in luogo della stretta di mano alla prescrizione di indossare la camicia nera, fino ai codici della comunicazione linguistica.

Imposta nei rapporti pubblici, l’abolizione del «Lei» parve riscuotere qualche successo anche in ambito privato, nelle famiglie. Fu un successo più apparente che reale. Non ricordavano i gerarchi fascisti che in ampie zone d’Italia, soprattutto nelle campagne e tra le generazioni più anziane, la formula del «Voi» era rimasta comunque la più diffusa.

La campagna per l’uso del «Voi» non mancò di trovare sostegno nel mondo intellettuale e accademico, ritenendolo uno strumento che avrebbe potuto ridurre le differenze sociali e regionali d’Italia. Ovviamente, si trattava dell’espediente italico che limita le innovazioni alla sola facciata. Anche allora le differenze sociali rimasero, eccome.

Tra le poche «vittime» dell’innovazione linguistica fu il settimanale femminile «Lei» costretto a cambiare il nome in «Annabella». Mentre rischiarono dei guai quei comici che proposero di ribattezzare «Galivoi» il grande Galileo Galilei.

Restò fino al luglio del ’43 l’uso delle «veline» che imponevano, tra l’altro, il passo romano di parata, che scimmiottava il passo dell’oca germanico, o la trasformazione delle cantine in rifugi antiaerei. Altri tempi, altre «veline», si era cominciato con l’abolizione del «Lei», si finiva con la guerra.