Vita Chiesa
Sessant’anni fa moriva san Giovanni XXIII, il “Papa buono” che aprì la Chiesa al mondo
Già nella scelta del nome, Giovanni XXIII, si poteva capire quanto fosse errata l’idea che il pontificato di Angelo Giuseppe Roncalli sarebbe stato di transizione. Negli anni del suo omonimo predecessore, dichiarato antipapa, fine 1300 inizi 1400, di papi la chiesa ne contava tre: Gregorio XII, che risiedeva a Roma, Benedetto XIII a Avignone, e Baldassarre Cossa papa a Pisa con il nome di Giovanni XXIII. Questi convocò a Costanza un Concilio, riconosciuto come ecumenico, per cercare una soluzione diplomatica allo scisma d’Occidente e restituire unità alla chiesa. I presupposti di quello che sarebbe stato il breve pontificato di papa Roncalli ci sono tutti: l’ecumenismo, l’unità della chiesa, il dialogo con le religioni non cristiane, la pace.Così il suo impegno diplomatico in Bulgaria, Turchia e Grecia lo porterà a coltivare contatti con il mondo ortodosso e la comunità musulmana. A Parigi come nunzio, 1944, si prodigò per evitare le deportazioni degli ebrei, aiutando le famiglie a raggiungere la Palestina.Queste esperienze lo convinsero, già da patriarca di Venezia, a dare vita a un luogo di dialogo ecumenico e interreligioso affidandolo a una donna, Maria Vingiani. Eletto Papa, 28 ottobre 1958, volle che il segretariato per le attività ecumeniche (Sae) si trasferisse a Roma.Durò poco meno di cinque anni il pontificato di Giovanni XXIII, ma ha consegnato alla storia atti, gesti e parole che ancora oggi sono memoria profetica. Nel suo primo Natale da Papa sceglie di andare a portare doni ai ricoverati nell’ospedale Bambino Gesù, e i piccoli, felici, lo scambiano per Babbo Natale. Il giorno dopo, Santo Stefano è al carcere di Regina Coeli, la prima volta di un Papa, e ai detenuti dirà: «non potete venire da me, così io vengo da voi. Eccomi qua, sono venuto, mi avete visto: ho messo i miei occhi nei vostri occhi, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore». Sono oltre 150 le volte che Roncalli lascia il Vaticano per visite alle parrocchie romane e fuori programma, come quando andò all’ospedale Santo Spirito a trovare un sacerdote ricoverato; suonò alla porta delle suore e chi aprì si presentò dicendo: «Santo Padre sono la Madre Superiora dello Spirito Santo». Pronta la risposta di Roncalli: «beata lei, che carriera. Io sono solo il servo dei servi di Dio».Tre mesi dopo la sua elezione Giovanni XXIII è nella basilica di San Paolo per annunciare – «certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito» – il sinodo della diocesi di Roma, l’aggiornamento del Codice di diritto canonico, e, a novant’anni dal Concilio Vaticano I, il Concilio ecumenico Vaticano II. Con grande sense of humor annoterà, nel suo diario, che si attendeva, dopo l’annuncio, parole di apprezzamento dai cardinali presenti, e invece «c’è stato un impressionante, devoto silenzio». Un annuncio che sollevò non poche riserve e critiche, compresa quella dell’età del Papa. Roncalli non rispose subito ma qualche giorno dopo, nel corso di un’udienza, ricordò la figura di papa Agatone che nel 680, all’età di 105 anni, indisse il Concilio ecumenico di Costantinopoli, un anno prima della sua morte.Altro gesto significativo la decisione di cancellare dalla preghiera pro Judaeis, che veniva recitata durante la solenne liturgia del Venerdì Santo, l’aggettivo che definiva «perfidi» gli ebrei. Una decisione letta come un avvicinamento tra le due religioni, tanto che il presidente dell’associazione Amicizia ebraico-cristiana, il rabbino Jules Isaac chiese udienza al Papa. Il 13 giugno 1960 Isaac consegno a Roncalli un dossier chiedendo che il Concilio si occupasse anche dell’insegnamento cattolico sull’ebraismo: «posso avere almeno un briciolo di speranza?» Roncalli rispose: «molto più che una speranza, lei ha diritto di avere». Sappiamo come il tema sia poi entrato nel Vaticano II con la dichiarazione Nostra aetate, e come, nel tempo, questo testo e l’impegno dei successori di Roncalli abbia cambiato il rapporto con i «nostri fratelli maggiori» come disse Giovanni Paolo II parlando nella Sinagoga di Roma, 13 aprile 1986, forse ricordando le parole del suo predecessore che a un gruppo di 130 ebrei americani, il 17 ottobre 1961 anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, si presentò con le parole bibliche: «io sono Giuseppe, vostro fratello».Del breve pontificato di Giovanni XXIII sono gli ultimi mesi a segnare la nostra memoria, a partire dalle parole che pronuncia aprendo, in San Pietro, i lavori del Concilio, quel «Gaudet mater ecclesia», Gioisce la chiesa madre, che segnava un cambiamento radicale pur nel rispetto della «certa e immutabile» dottrina. La Chiesa, dice, non è un museo d’antiquariato ma un giardino da coltivare. È il discorso in cui parla dei segni dei tempi, della «medicina della misericordia, invece di abbracciare le armi del rigore». Ma ciò che ancor più è nella memoria accadde la sera di quell’11 ottobre 1962: in piazza san Pietro, e lungo via della Conciliazione, l’Azione cattolica italiana anima una grande fiaccolata. Roncalli, mi racconta il suo segretario Loris Capovilla, non vuole parlare ma accetta di affacciarsi. Poi è il discorso alla luna, e l’invito, tornando a casa, a dare «una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza».A Concilio aperto scoppia la crisi dei missili sovietici a Cuba, con l’America che prepara un blocco navale per impedire l’arrivo delle navi sovietiche con le testate nucleari. Roncalli avverte la drammaticità del momento e scrive a John F. Kennedy e a Nikita Kruscev; il 25 ottobre dalla Radio Vaticana si rivolge «a tutti gli uomini di buona volontà» chiedendo la pace. La crisi cubana durerà tredici giorni e importante è stata l’iniziativa di Roncalli, tanto che a Natale, per la prima volta, Kruscev manderà gli auguri al Papa ringraziandolo per «la costante lotta per la pace, la felicità e il benessere».Questa crisi convincerà Papa Giovanni a scrivere l’enciclica Pacem in terris, rivolta, per la prima volta, «a tutti gli uomini di buona volontà». È il 13 aprile 1963, Roncalli affronta il tema dei diritti dei popoli, del rapporto con il potere politico, del rispetto delle minoranze, dei profughi politici, dell’equilibrio tra popolazione, terra e capitali: sarà poi Paolo VI a sviluppare meglio questo tema nella sua Populorum progressio.Sempre in quel 1963, il 7 marzo, Giovanni XXIII accoglie in Vaticano il genero di Kruscev, Alexei Adzubej con la moglie Rada Krusceva che ringraziano il Papa per le iniziative in favore della pace. L’incontro fu criticato, apertura eccessiva, si disse, verso l’Unione Sovietica. In un libro Giovanni XXIII verrà chiamato Nikita Roncalli e l’enciclica «Falcem in terris».La sera del 3 giugno 1963, sessant’anni fa, terminava, a 81 anni, il pellegrinaggio terreno di Giovanni XXIII, il «Papa buono» come si leggeva in uno striscione che i partiti politici italiani misero al posto dei manifesti elettorali, nel giorno della visita del Papa a una parrocchia romana del Quarto miglio.