Italia

Servizio civile, uno su tre ce la fa

di Giacomo GambassiI n questi quattro anni quasi tremila giovani hanno risposto: ora bisogna che risponda anche lo Stato». Don Giancarlo Perego, vice direttore della Caritas italiana, lancia l’allarme. E lo fa da Rondine, la Cittadella della Pace alla periferia di Arezzo, che lo scorso fine settimana ha ospitato la due giorni della Caritas italiana dedicata al servizio civile.

«In questo momento ci sono centomila ragazzi che hanno chiesto di svolgere il loro servizio nelle nostre strutture – spiega don Perego – Ma già sappiamo che ne potremo accogliere solo trentamila. In pratica, soltanto uno su tre ce la farà: pochi, troppo pochi. Spero, invece, che ci sia l’impegno da parte delle istituzioni a finanziare il servizio anche se per ora non lo abbiamo visto».

Parte dalla diocesi di Arezzo la nuova sfida sul servizio civile volontario della Caritas. Una sfida che è figlia della sospensione della leva obbligatoria entrata in vigore dal primo gennaio del 2005 e che si è portata dietro diverse incognite. Se per anni la Caritas è stata protagonista dell’obiezione di coscienza, oggi deve confrontarsi con una nuova realtà: quella legata ad un anno di servizio offerto a tutta la collettività. Un’occasione riservata ai giovani fra i 18 e i 28 anni e appesa a progetti mirati cui è possibile partecipare attraverso bandi simili a quelli per i concorsi.Una scommessa che il direttore della Caritas nazionale, don Vittorio Nozza, accetta senza timore al termine del confronto con i responsabili diocesani del servizio civile che ha scandito la giornata d’esordio dell’incontro. «Se prima il giovane era colui che cercava enti e associazioni, oggi tocca a questi ultimi doversi svegliare per entrare nel mondo dei giovani e proporre progetti credibili».

Un cambiamento di prospettiva che ha investito anche la Chiesa italiana. «Il cammino dell’obiezione di coscienza era tutto o quasi sotto l’ombrello della Caritas – spiega il direttore –. Perché, afferma don Nozza, «tutta la Chiesa si deve riappropriare del servizio civile». Un vero invito alla collaborazione che si è già tradotto nella nascita del Tavolo Ecclesiale che «serve a creare le condizioni perché i giovani siano raggiunti dappertutto», dichiara don Nozza.

E proprio il Tavolo Ecclesiale, che rappresenta il primo coordinamento sul servizio civile della Chiesa italiana di cui fanno parte la Caritas, la Fondazione Migrantes, l’Ufficio per la Pastorale Sociale, l’Ufficio per la Pastorale Missionaria, l’Azione Cattolica, l’Ufficio per la Pastorale Giovanile e Pax Christi, è stato la mente dell’appuntamento accolto dalla diocesi guidata dal monsignor Gualtiero Bassetti. Un incontro che lo scorso anno si era tenuto a Sotto il Monte, il paese di Papa Giovanni XXIII, e che una settimana fa è approdato nell’aretino.

E né la cornice, né i giorni sono stati scelti a caso per un evento che ha avuto come parole d’ordine «servizio» e «pace». Infatti, Rondine è il borgo della riconciliazione in cui vivono venti studenti giunti da paesi in guerra: quegli stessi paesi dove l’obiezione di coscienza si paga anche col carcere. E poi ci sono state le date, a cavallo fra il 12 marzo, giorno dedicato a San Massimiliano martire, il protettore dell’obiezione di coscienza, che pagò con la vita il suo «no» alla leva nell’esercito romano.

Un «no» che è diventato «sì agli altri» da quando è sbocciato il servizio volontario. Volontario come lo sono i quattrocento giovani che sabato scorso sono sbarcati a Rondine per raccontarsi e raccontare le loro esperienze a contatto con la sofferenza, l’emarginazione, la povertà.

Le testimonianzeIn quattrocento da tutta ItaliaQuattrocento ragazzi arrivati da tutta Italia hanno risposto all’appello della Caritas e hanno viaggiato anche per otto ore su un pullman come il gruppo di Matera o per dodici ore fra le cuccette del treno che ha portato ad Arezzo la delegazione di Palermo. E sotto il tendone di Rondine le storie di chi si è messo a disposizione degli «ultimi» si sono intrecciate con le storie di chi si è liberato del mitra solo per caso. Come Sergei che è russo e studia nella Cittadella della Pace con un ragazzo ceceno. «Da noi l’obiezione di coscienza è legale da appena un anno – ha spiegato – ma dura 42 mesi contro i 24 del servizio militare. E con il crollo delle ideologie si sono perse anche le associazioni di solidarietà che, invece, sono essenziali per favorire la convivenza fra i popoli».

È distante l’ex Urss da Rondine come lo è il Kenia dove Alessandro che ha 27 anni e vive ad Arezzo è diventato un casco bianco della Caritas. Faceva il ricercatore all’Enea: ha lasciato tutto ed è partito. «Perché ne sentivo la necessità», ha confidato. A Nairobi ha abitato in un appartamento che si affacciava su una discarica. «E per un mese non ho avuto il coraggio di aprire la tenda e guardare quella bidonville popolata da milioni di persone». Si è occupato di microcredito, Alessandro. O, secondo una formula più semplice, di «concedere prestiti ai poveri». I clienti? «Un venditore di vestiti, un contadino con un solo pollaio, l’artigiano che fa statuette».

E mentre lui era in Africa, Paola, 24 anni di Termoli, era (ed è ancora) in una casa famiglia di Roma che accogliere ragazze madri ed ex prostitute. Anche lei ha messo in tasca una laurea in scienze politiche e poi è diventata una volontaria. «L’ho fatto per un motivo: avevo ricevuto dalla vita molto e mi sembrava giusto restituire qualcosa».

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