Opinioni & Commenti

Servizio civile, quale futuro a cinque anni dalla legge

di Emanuele RossiCon l’entrata in vigore della legge 6 marzo 2001 n. 64 si è segnato un momento significativo della vicenda normativa e istituzionale che ha preso le mosse dalla legge 15 dicembre 1972 n. 772, la quale, disciplinando l’obiezione di coscienza al servizio militare, introdusse il servizio civile quale forma alternativa al servizio militare per coloro che fossero in coscienza contrari in ogni circostanza all’uso delle armi.

Prendendo atto della sostanziale abolizione del servizio militare obbligatorio, che ha fatto venire meno (salve le ipotesi nelle quali residui lo spazio dell’obbligatorietà: deliberazione dello stato di guerra e gravi crisi internazionali) la necessità di obiettare ad un obbligo che non esiste più e conseguentemente la necessità di adempiere a prestazioni alternative, la legge del 2001 ha introdotto la possibilità per i giovani di dedicare una parte della propria vita a forme di impegno solidaristico, così valorizzando il legislatore l’esperienza che in quasi trent’anni il servizio civile ha realizzato. Questo «nuovo» servizio civile ha visto nel corso di questi anni impegnato un numero consistente di giovani nella realizzazione di progetti di solidarietà e di cittadinanza attiva, proposti ed attivati da enti pubblici e privati.

Il mutato assetto costituzionale e le nuove competenze assegnate alle Regioni hanno imposto un ripensamento dell’impianto organizzativo inizialmente previsto dal legislatore nazionale, ed hanno visto un rinnovato attivismo delle stesse regioni nell’attivazione e nella realizzazione del servizio civile: diverse regioni, e tra queste la Toscana, hanno approvato proprie leggi mediante le quali hanno previsto l’attivazione, accanto a quello nazionale, di un servizio civile regionale, da finanziare mediante propri stanziamenti.

Sul piano nazionale, la realizzazione concreta di questa questo istituto ha fatto emergere, nel primi anni di attività, alcuni problemi di gestione amministrativa, ma che hanno rilevanti riflessi sulle scelte di fondo: ad esempio in merito alla selezione degli enti che possono presentare progetti; al tipo di attività che può essere svolta dai giovani, alla capacità delle strutture pubbliche di realizzare efficaci interventi sia di promozione che di formazione, ma anche di monitoraggio e di verifica delle attività svolte.

Un ripensamento che legga l’esperienza sin qui svolta ma che insieme individui le linee per un efficace rilancio del servizio civile nazionale e regionale è alla base dell’idea di realizzare un seminario di studio, che si terrà a Pisa il prossimo venerdì 27 ottobre, per iniziativa del Ministero della solidarietà sociale (che in base alla recente normativa ha acquisito competenza in materia), dell’Ufficio nazionale per il servizio civile e del CISSC, un centro interuniversitario sorto a Pisa dalla comune volontà di tre strutture universitarie (il Dipartimento di Diritto pubblico dell’Università, il Centro interdisciplinare di Scienze per la pace della stessa università, e la Scuola superiore Sant’Anna), da anni impegnate attivamente nello studio delle relative tematiche.

L’incontro pisano ha lo scopo di analizzare in profondità problemi e prospettive del servizio civile: dalle sue finalità complessive al ruolo che può svolgere nell’attuale contesto sociale del nostro Paese (con particolare riferimento all’esigenza di collocare il servizio civile nell’ambito delle attività di «difesa della Patria», collocazione che è stata alla base delle decisioni della Corte costituzionale in materia); alle modalità mediante le quali coordinare l’attività svolta dagli uffici nazionali con quelli regionali (in una logica non competitiva ma sinergica); alle soluzioni mediante le quali favorire un coinvolgimento il più possibile ampio e trasparente dei diversi soggetti alle attività del servizio civile (dagli enti accreditati ai giovani che intendono impegnarvisi); alle esigenze di salvaguardare lo spirito volontaristico e solidaristico di chi svolge il servizio civile, evitando che esso serva a coprire i buchi dello stato sociale o le sue inefficienze.

Aspetti sui quali occorre riflettere, tra operatori e studiosi, al fine di valorizzare sempre più uno strumento dalle grandi potenzialità.