Opinioni & Commenti
Senza lavoro, senza dignità nella corsa alla liberalizzazione d’ogni cosa
di Francesco Gurrieri
Non si può non interrogarci sul significato di queste nuove e drammatiche tipologie di «protesta» operaia. Dal «ponte-gru» si minaccia di lanciarsi nel vuoto; nella miniera, asserragliati a quattrocento metri sottoterra, di farsi esplodere con lo stesso plastico con cui spesso si coltiva la galleria.
Il lavoro all’inferno dei minatori del Sulcis in Sardegna ripropone, col problema della brutale cancellazione del lavoro (in questo caso della sopravvivenza di 460 famiglie), il colpevole deficit di un «programma nazionale per l’energia», lasciando alla fragile contrattazione sindacale (quando non addirittura ai singoli operai) la risoluzione del rapporto di lavoro.
La miniera è quella della Carbosulcis di Nuraxi Figus, passata, sembra, come un cerino acceso, dai privati alla Regione. Non sappiamo quale sia la dinamica alla base di questa vicenda e a questo passaggio di mano. Per certo, si ha sempre più la sensazione dalla maggior industria nazionale a quella più piccola che le «risoluzioni gestionali», quando le cose non vanno più bene, liberano i privati scaricando sul «pubblico» oneri e perdite accumulate. È questa la fenomenologia della dismissione produttiva (industriale, ma non solo tale) che interessa l’intero paese e non certo solo la Sardegna. In area fiorentina, ad esempio, sono numerose le fabbriche del settore metalmeccanico, meccanico ed elettromeccanico già in forte, fortissima sofferenza, quando non già chiuse.
Si può tacere davanti a questo scenario ? Può un cristiano tacere su queste ferite alla dignità della persona e della famiglia? No, non può. E cento, mille sarebbero i motivi, l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa, i generali «diritti dell’uomo» a guidarci. Così, si avverte profondo il deficit di «governo», di una ragionevole e ineludibile «programmazione pluriennale» che si costituisca in disegno comprensibile a tutti.
Ma veniamo al caso specifico. Il quale, si dirà, va inquadrato nella più generale logica che presiede al fabbisogno e alla produzione di energia: energia che si deve progressivamente affrancare dal petrolio e portarsi sulle «energie rinnovabili» (di cui conosciamo i limiti che, ad oggi, non coprono nemmeno il 10 % del necessario). Nella logica della differenziazione e nel potenziale e sempre incombente pericolo di sospensioni nelle forniture di petrolio e di gas, perché non studiare e rendere operativo un «ciclo» di estrazione-alimentazione-distribuzione almeno per quella parte dell’isola? Lo fanno ancora in non poche parti del nostro pianeta, con strategie geo-politiche di qualche rispetto! Certo, la dissennata corsa alla liberalizzazione d’ogni cosa (e fra poco alla vendita del patrimonio artistico pubblico) va in altra direzione: ma è davvero quella giusta? Dobbiamo davvero rimpiangere la grande esperienza dei primi decenni della nostra repubblica ove si riusciva a coniugare la crescita con l’occupazione e un po’ di progresso? I ponti-gru e le barricate in miniera feriscono la dignità e la capacità degli operai e quindi del paese. Si può riflettere e decidere, prima che sia troppo tardi?