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Sentenza sull’Ici, retrogusto ideologico
La sentenza della Corte di Cassazione che ha inflitto il pagamento dell’Ici arretrata ad alcuni istituti scolastici parificati in favore del Comune di Livorno (leggi qui) è oggettivamente, comunque la si guardi, una spallata alla libertà di educazione. Il retrogusto della sentenza è ideologico e non sorprendono gli applausi che vengono dai settori più ideologizzati sia della società sia del Parlamento. Applausi dietro i quali si intravedono, purtroppo, pregiudizi coltivati negli anni, nel tentativo di affermare un principio assoluto di laicità dello Stato che facilmente sconfina nell’arbitrio del più forte. Non è un caso, infatti, che la scuola pubblica paritaria continui a svolgere il proprio ruolo di servizio al Paese senza alzare mai la voce, senza rincorrere comportamenti estremistici, ripianando con grandi sacrifici le perdite economiche.
È del tutto evidente, e non possono non saperlo tutti i soggetti coinvolti, che se la scuola pubblica paritaria dovesse far fronte anche all’Ici o all’Imu, avrebbe poche alternative: chiudere i battenti o innalzare all’inverosimile le rette. Così facendo, taglierebbe fuori la maggior parte delle famiglie che mandano i propri figli in quelle scuole, soprattutto quelle dell’infanzia, e che statistiche alla mano appartengono al ceto medio basso. Altro che scuole per ricchi!
«Siamo davanti a una sentenza pericolosa – ha affermato monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei -. Chi prende decisioni, lo faccia con meno ideologia. Perché ho la netta sensazione che con questo modo di pensare, si aspetti l’applauso di qualche parte ideologizzata. Il fatto è che non ci si sta rendendo conto del servizio che svolgono le scuole pubbliche paritarie». Ecco, il punto è proprio questo: la mancanza di conoscenza e coscienza (diffuse) del ruolo svolto dalle scuole pubbliche paritarie. «Ci sono un milione e 300mila studenti nelle scuole paritarie», ha ricordato il segretario generale della Cei: «Bisogna anche sapere che a fronte dei 520 milioni che ricevono le scuole paritarie, lo Stato risparmia 6 miliardi e mezzo. Attenzione, dunque, a non farsi mettere il prosciutto sugli occhi dall’ideologia».
Dinanzi a queste cifre non si è sollevata nessuna voce a smentirle. Dunque, la realtà è questa. Anzi, la stampa laica ha dovuto precisare che il costo per alunno nella scuola pubblica statale è di 6.500 euro, mentre alla scuola paritaria vanno solo 500 euro. Una differenza abissale che non è compensata neppure dalle rette pagate dalle famiglie (si aggirano sui 2.500/3.000 euro all’anno). In sintesi, il sistema della scuola pubblica paritaria costa meno e garantisce lo stesso servizio richiesto a quella statale.
Ce ne sarebbe abbastanza per fare scelte coraggiose e chiudere per sempre un contenzioso oggettivamente anacronistico. Il solo parlare delle scuole paritarie pubbliche come «commerciali» in quanto i genitori pagano una retta che a malapena copre una parte delle spese generali, è in sé un controsenso. Non dovremmo essere più lungimiranti e soprattutto accogliere il principio di realtà che contraddice ogni fumisteria ideologica? E nel caso specifico, riconoscere definitivamente il ruolo «pubblico» delle scuole paritarie anche sotto il profilo dell’esenzione dalla tassazione locale?
Le indicazioni pervenute da alcuni rappresentanti del Governo mostrano consapevolezza e attenzione: «Avvieremo un tavolo di confronto con gli enti no profit per arrivare a un definitivo chiarimento normativo». Giusto. È meglio che le decisioni essenziali per la vita pubblica vengano da un Parlamento democraticamente eletto e da un Governo nel pieno delle proprie prerogative, piuttosto che da un magistrato pur autorevolissimo. È una questione di democrazia e di rispetto della vita reale.