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SENTENZA STRASBURGO: ROMANO (SCIENZA E VITA – ITALIA), «RIDUZIONISMO ANTROPOLOGICO»

Dal grave rischio di “riduzionismo antropologico” mette in guarda Lucio Romano, ginecologo e copresidente di Scienza & Vita, commentando al SIR la sentenza della Corte di Strasburgo secondo la quale proibire il ricorso alla donazione di sperma e ovuli per la fertilizzazione in vitro “è ingiustificato” e costituisce “una violazione” dei diritti garantiti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo. “Nel vietare il ricorso alle tecniche di procreazione eterologa – spiega Romano -, vi è una ratio non solo di ordine giuridico, ma anche etico. La donazione di ovociti o spermatozoi prefigura infatti uno sconvolgimento nell’assetto familiare e un’alterazione del rapporto di genitorialità perché va a costituire la cosiddetta ‘cooperativa’ di genitori, una sorta di plurigenitorialità con una grave lesione al diritto del concepito di essere, dopo la nascita, a conoscenza della propria identità non solo di ordine genetico e biologico ma anche di ordine parentale”. L’impiego di questa pratica lede, secondo l’esperto, “i cardini e i fondamenti della genitorialità”. Ammetterla, inoltre, “aprirà inevitabilmente all’accettazione della cosiddetta ‘madre surrogata’ per le donne che si trovano nell’impossibilità assoluta di procreare, sovvertendo in tale modo la più elementare ragione di tutela del diritto del concepito ad un’identità certa”. “Ma esiste – si chiede Romano – un diritto ad avere un figlio ad ogni costo? Un diritto a ricorrere a un donatore per potere definire con forte connotazione possessiva un figlio ‘proprio’ come fosse un bene su cui esercitare un presunto diritto di proprietà? A me sembra che in questo modo si rischi di ‘commercializzare’ la vita”. Quanto alla donazione degli ovociti afferma: “Non vorrei che tale atto, di per sé illecito anche se compiuto a titolo gratuito, divenisse esclusivamente finalizzato ad introiti di ordine finanziario”. “Occorre riflettere – avverte il copresidente di Scienza & Vita – sul concetto di aspirazione alla procreazione: un desiderio naturale e condivisibile come l’aspettativa di diventare padre e madre non può giustificare il ricorso a qualsiasi tecnica che, con l’apporto di soggetti esterni, sovverta completamente il significato spirituale, etico e giuridico della paternità e della maternità. In questo modo il figlio si trasforma da soggetto a oggetto con una sorta di grave riduzionismo antropologico, perché la sua vita non è più il frutto di un aiuto lecito a superare i problemi di infertilità dei genitori, ma diventa un bene voluto ad ogni costo per soddisfare un desiderio”.Sir