Vita Chiesa

Seconda e Terza Congregazione

Si è aperta, l’11 ottobre pomeriggio, con le relazioni sui Continenti, la seconda Congregazione del Sinodo dei vescovi per il medio Oriente. A parlare sono stati, per l’Africa, il card. Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam, presidente del “Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar” (Secam), per il Nord America, il card. Roger Michael Mahony, arcivescovo di Los Angeles, per l’America Latina, mons. Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida, presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), per l’Asia, mons. Orlando B.Quevedo, arcivescovo di Cotabato, segretario generale della “Federation of Asian Bishops’ Conferences” (Fabc), per l’Oceania, mons. John Atcherley Dew, arcivescovo di Wellington, presidente dei vescovi dell’Oceania, e per l’Europa, il card. Peter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest, presidente del Ccee. Quest’ultimo ha ricordato quanto l’Europa sia “debitrice del Medio Oriente” in quanto i primi missionari del Vecchio Continente “sono arrivati proprio da lì”. A seguire si sono registrati i primi interventi dei padri sinodali che sono proseguiti anche il mattino seguente, nella terza Congregazione. Diversi i temi toccati dai padri iscritti a parlare, tra questi quello della libertà religiosa, del dialogo con l’Islam e anche una proposta che ha suscitato l’interesse dei giornalisti che seguono il Sinodo.

“Un’alba nuova”. “Dobbiamo lavorare tutti insieme per preparare un’alba nuova per il Medio Oriente usando i talenti che Dio ci ha dato. Certo, è urgente favorire la soluzione del tragico conflitto israelo-palestinese ed operare perché terminino le correnti aggressive dell’Islam”, ha detto il card. Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, aprendo i lavori del 12 ottobre. “Dovremo sempre chiedere rispetto per la libertà religiosa di tutti i credenti – ha rimarcato il cardinale – è una missione difficile quella che voi, pastori della Chiesa in Medio Oriente, dovete svolgere in un momento storico così drammatico. Sappiate però che non siete soli nella vostra sollecitudine quotidiana per preparare un avvenire migliore alle comunità”. Nel suo discorso il decano del collegio cardinalizio ha, inoltre, richiamato “ad una stretta unità con la Chiesa di Roma” i pastori e i fedeli in Medio Oriente, “un’unione affettiva che deve portare ad un’unione effettiva con la Santa Sede, attraverso i numerosi canali oggi esistenti” come i Rappresentanti pontifici esistenti nel Medio Oriente (Gerusalemme, Beirut, Damasco, Ankara, Baghdad, Teheran, Cairo e Safat).

Contro il commercio d’armi. Il tema del dialogo è risuonato anche nelle parole di mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, per il quale “senza dialogo con i musulmani non ci sarà la pace e la stabilità”. Il presule si è spinto oltre affermando che cristiani e musulmani, “insieme”, possono “eliminare guerre e tutte le forme di violenza. Dobbiamo unire le nostre voci per denunciare insieme il grande affare economico del commercio delle armi. Le guerre – infatti – sono una vera minaccia alla nostra regione dove si sono tragicamente avverate le parole di Giovanni Paolo II, ‘la guerra è un’avventura senza ritorno'”. Senza dialogo, anche “il mortale esodo che affligge le nostre Chiese non potrà essere evitato. L’emigrazione è la più grande sfida che minaccia la nostra presenza”. Per l’arcivescovo caldeo, “le Chiese orientali, ma anche la Chiesa universale, devono assumersi le proprie responsabilità e trovare, con la comunità internazionale e le autorità locali, scelte comuni che rispettino la dignità della persona umana. Scelte che siano basate sull’uguaglianza e sulla piena cittadinanza, con impegni di partenariato e di protezione. La forza di uno Stato – ha concluso – si deve basare sulla credibilità nell’applicazione delle leggi al servizio dei cittadini, senza discriminazione tra maggioranza e minoranza. Vogliamo vivere in pace e libertà invece di sopravvivere”.

La proposta. “I patriarchi delle Chiese orientali cattoliche, per la loro identità di padri e capi di Chiese ‘sui iuris’ che compongono la cattolicità della Chiesa cattolica, dovrebbero essere membri, ipso facto, del Collegio che elegge il Sommo Pontefice, senza necessità di ricevere il titolo latino di cardinale. Per lo stesso motivo, dovrebbero anche avere la precedenza su di loro”. È stata la proposta di mons. Vartan Waldir Boghossian, vescovo di San Gregorio di Narek in Buenos Aires degli armeni, esarca apostolico per i fedeli di rito armeno residenti in America Latina e Messico. Nel suo intervento egli ha parlato della grande mobilità umana che ha spostato quantità di fedeli fuori del loro territorio patriarcale di origine, così che ci sono delle Chiese che hanno oggi la più gran parte dei loro fedeli nella Diaspora. “È difficile capire – ha detto l’esarca – perché le attività dei patriarchi, dei vescovi e dei Sinodi delle Chiese orientali, vengono limitate al loro territorio. Il Codice dei Canoni delle Chiese orientali afferma che i patriarchi sono padri e capi della loro Chiesa. Questa paternità e giurisdizione non dovrebbero essere limitate ad un territorio” tanto più se in esso “non sono più presenti membri della sua Chiesa”.