Vita Chiesa

«SE SCOPPIASSE LA PACE…», DOCUMENTO DELLA COMUNITA’ DI CAMALDOLI

«Grande trepidazione per la pace» e «indignazione per la guerra». È con questi sentimenti che la Comunità monastica di Camaldoli ha vissuto la Giornata di digiuno e preghiera per la pace, indetta da Giovanni Paolo II. Al termine della Giornata la comunità, stimolata anche dall’intervento dei vescovi toscani, ha messo per scritto in un breve documento alcuni punti fermi «che – scrivono -formeranno una specie di pro-memoria per il nostro stesso esame di coscienza nel periodo quaresimale».Ecco il testo integrale del documento: Ai fratelli e alle sorelle delle Chiese in Italiaa tutti gli uomini e alle donne di buona volontà presenti nel nostro paese«E se scoppiasse la pace…» Scriviamo queste brevi note al termine della Giornata di digiuno e di preghiera per la pace che è stata il Mercoledì delle ceneri, secondo le indicazioni di Giovanni Paolo II, che in questi giorni ha in corso un estremo tentativo di mediazione per scongiurare una guerra ormai strisciante ai confini dell’Iraq: spes contra spem!

Ci preme vivamente ora, come monaci, comunicare a voi tutti il sentimento di grande trepidazione per la pace e di indignazione per la guerra che ci ha attraversato negli ultimi due mesi, a partire dalla tradizionale Giornata di preghiera per la pace del 1 gennaio. Oltre ai documenti e alle prese di posizione di credenti e di laici, di religiosi e politici di tutto il mondo; oltre all’incoraggiamento personale verso coloro che hanno manifestato il 15 febbraio contro la prosecuzione della “guerra del Golfo”, siamo stati confortati dalle sagge parole presenti in un breve e accorato comunicato ufficiale (in data 28 gennaio), scritto dai vescovi della Regione Toscana a cui la Comunità monastica di Camaldoli appartiene. Ci permettiamo di sottolineare i punti che ci hanno maggiormente colpito, che formeranno una specie di “pro-memoria” per il nostro stesso esame di coscienza nel periodo quaresimale.

1. «Fedeli al vangelo della pace»I vescovi alludono alla frase con cui Pietro negli Atti degli Apostoli (10,34ss.) riassume l’attività del Gesù terreno. Proprio il volto di Gesù di Nazaret, che per noi cristiani è il Figlio di Dio, è percepito da tanti come «un uomo completamente innocente, che sacrificò se stesso per il bene degli altri, nemici compresi, e diventò così il riscatto del mondo» (Gandhi). Nel suo mistero di croce e risurrezione il Signore Gesù è entrato in profonda comunione con l’umanità, per sempre, e ha invitato i suoi discepoli a farne memoria «nel vincolo della pace», pur in situazioni precarie di gravissimi conflitti. Nella Messa «ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice», lo Spirito Santo eleva a dignità suprema l’aspirazione alla pace, che già alberga nel cuore di ogni donna e ogni uomo, per quanto calpestata tragicamente da gesti disperati dettati dall’odio. 2. “No” ad ogni tipo di guerra«Invitiamo tutte le comunità ecclesiali… a manifestare con franchezza ai membri del Parlamento e del Governo il profondo desiderio di pace, di giustizia e democrazia del nostro popolo e di tutti i popoli del mondo (a) dicendo un fermo e chiaro “no” all’ipotesi di partecipazione o sostegno alla guerra all’Iraq da parte dell’Italia e (b) chiedendo invece di adoperarsi con ogni mezzo nonviolento perché in quel paese si affermino i diritti umani e la democrazia». Un imperativo categorico e concretissimo, questo dei vescovi, teso a fermare la spirale della vendetta in conformità con gli sforzi del papa a Baghdad e a Washington. Siamo preoccupati, è vero, per questa guerra “preventiva”, ma lo siamo per ogni tipo di guerra quale manifestazione massima di una prassi violenta: una persona, un gruppo, uno Stato, persino una religione si auto-identificano con un fine assoluto, irrinunciabile, al punto tale da sentirsi in diritto di eliminare chi ne ostacola o ritarda la realizzazione, oppure, in caso di aggressione o minaccia, vendicarsi, farsi giustizia da sé. Il peccato della guerra, della contrapposizione radicale, “è accovacciato alla porta” (Gen 4,7): eredità di Caino che tuttavia Dio stesso, come sappiamo, vieta di condannare a morte (cfr. Gen 4,15). 3. La speranza in una cultura di pace«Riaffermiamo l’esigenza di maggiore giustizia distributiva su base planetaria, come fonte di vita e di sviluppo per tutte le aree del mondo da liberare dalla fame e dalla miseria». In attesa della pace e giustizia eterne, il Nuovo Testamento proclama la pace sulla terra, perché nell’“al di là” sarà trasformato ciò che viene seminato nell’ “al di qua”. La Pacem in terris di Giovanni XXIII è chiara su questo; e mentre ci prefiggiamo di commentarla durante quest’anno in modo da consolidare la fragile “cultura di pace”, ricordiamo fin da ora i quattro pilastri su cui si fonda ogni politica di pace, specialmente nei luoghi dove sono sempre attivi i “conflitti dimenticati”: la libertà, al posto di ogni restrizione lesiva della dignità umana; la giustizia, al posto del perdurare di una tragica sperequazione delle risorse (il 20% della popolazione ne detiene l’83% di tutto il pianeta); la verità, al posto della diffusione della menzogna; la carità/amore, al posto della violenza.Camaldoli, 5 marzo 2003 La Comunità monastica di Camaldoli

Un fermo no alla guerra all’Iraq