Opinioni & Commenti

Se riprende a farsi strada lo spettro dell’atomica

di Romanello Cantini

Lo spettro della costruzione di una bomba atomica iraniana che domina il panorama internazionale avrà, se disgraziatamente dovesse concretizzarsi, conseguenze gravi, forse gravissime. Acutizzerà la tensione fra Israele e Iran con il rischio addirittura di un blitz preventivo di Gerusalemme per cercare di bloccare la costruzione di una bomba. Spingerà i paesi vicini, che ne hanno la possibilità con i loro petrodollari, a cercare anch’essi di dotarsi di un’arma nucleare. Forse darà il colpo di grazia al trattato di non proliferare che è appena scaduto e che appare già difficile rinnovare.

Eppure all’origine dell’eventuale tentativo di bomba nazionale iraniana c’è soprattutto una assurdità culturale dura a morire dalla quale gli iraniani non sono certo i primi ad essere sedotti. Uno scontro futuro fra Iran ed Israele può essere la prima guerra atomica mai vista fra due paesi, entrambi nucleari. E, se l’atomica diventa diffusa, ogni guerra iniziata con l’atomica rischia di avere una risposta atomica. Se l’aggredito non ha l’atomica l’avrà il suo alleato. Ormai sappiamo che l’atomica anche quando è diretta contro qualcuno è diretta contro tutta l’umanità. In una guerra atomica fra due paesi vicini la ricaduta della pioggia radioattiva ucciderebbe ugualmente gli attaccanti e gli attaccati. Gli uni e gli altri mangerebbero lo stesso cibo avvelenato. Perfino quella che chiamiamo patria con la sua natura, i suoi animali e le sue piante non potrebbe passare attraverso un conflitto atomico e uscirne illesa e vitale anche se in teoria vincente. Se c’è una cosa che l’atomica non riconosce è proprio il confine nazionale.

Fu Einstein a dire che la bomba atomica aveva cambiato tutto eccetto che il nostro modo di pensare. E infatti i politici hanno continuato a pensare che l’atomica poteva essere un’arma come le altre che poteva essere messa al servizio della potenza nazionale, della vittoria di una ideologia, della difesa della civiltà, cioè di tutti quei valori veri e presunti con cui si sono giustificate le guerre prima dell’era atomica come se la guerra nucleare fosse una guerra come le altre. Per questo chi è riuscito a procurarsi l’atomica l’ha sempre festeggiata come una grande vittoria. Si ballò quella sera, la sera di Hiroshima, a Los Alamos. E quattro anni dopo in una grande festa Stalin consegnò le medaglie di Eroi del lavoro ai venticinque scienziati che avevano costruito l’atomica sovietica. Ma fu chi più era superbo della propria nazione ad inorgoglirsi di un armamento atomico nazionale che pure aveva ancor meno senso davanti all’armamento delle due superpotenze. Quando nel 1960 scoppiò la prima atomica francese nel deserto algerino De Gaulle telegrafò al suo ministro per l’energia: hurrà per la Francia. Da stamani essa è più forte e più fiera. De Gaulle, il più ottocentesco degli uomini vissuti nell’era atomica era addirittura convinto che l’atomica era necessaria ad uno stato perché potesse considerarsi tale. Scrisse che «senza la bomba atomica nessun paese può considerarsi indipendente».Se l’atomica doveva servire la nazione doveva servire anche l’ideologia. Il 15 ottobre 1960 quando scoppiò la prima bomba cinese Mao gli dedicò addirittura una delle sue poesie: «La bomba atomica esplode quando noi l’ordiniamo. O gioia sconfinata!».

Se l’atomica può servire alla nazione, se può servire alla ideologia, perché non può servire alla propria civiltà magari alla propria religione? Fu il presidente del Pakistan Zulfikar Alì Bhutto che nel 1971 interpretò gli armamenti atomici esistenti in chiave di dotazione delle singole religioni quasi come un diritto di ogni dio ad avere la propria folgore. Dopo che Israele e l’India si erano già date l’arma nucleare disse: «La civiltà cristiana, ebraica e indu hanno una capacità nucleare. Solo alla civiltà islamica manca». E nel 1998 anche il Pakistan musulmano si era data la sua bomba atomica. Ora è forse la volta della bomba islamica sciita dopo la bomba islamica sunnita. E siccome questa giustificazione seppure assurda si ricollega alla propria tradizione e al proprio mondo è anche la più difficile a demolire se si continua ancora ad illudersi che l’atomica sia ancora un’arma possibile e usabile mentre non può servire a nessun fine fosse anche il più nobile. Come diceva lo scienziato Joseph Rotblat: «Nell’era atomica ricordatevi della nostra umanità e dimenticate il resto».