Opinioni & Commenti

Se quelli naufragati sono ancora uomini

DI GIUSEPPE SAVAGNONE«Se questo è un uomo». Così suona il titolo di una delle più famose testimonianze sui lager nazisti. Ma questa formula ipotetica si pone ancora come un terribile interrogativo alla coscienza del mondo che si definisce «civile», e in questi giorni a noi italiani in modo particolare, davanti al dramma perdurante degli immigrati che vengono a morire ogni giorno in vista delle nostre coste, disperati, estenuati, affamati, assetati, intirizziti. Se questo è un uomo, se questa è una donna. Niente più che un’ipotesi. Un’inquietante ipotesi legata alla notizia di cronaca che parla di altri dispersi, di altri morti e che andrà presto ad affondare nel grande oblio. Anche degli ultimi, di questi sventurati somali, il cui tragico destino ci ha colpito, per un giorno o due, commuovendo l’opinione pubblica del nostro Paese, anche di loro, che cosa resterà?Dimentichiamo tutto. Per una specie di istinto di difesa. Non si può vivere portando il peso di tutto questo dolore. Sulle prime pagine dei giornali e nei servizi dei notiziari un dramma come quello della barca alla deriva, con a bordo un carico di cadaveri, dura un paio di giorni, tre al massimo. Nella nostra mente, nel nostro cuore, appena un po’ di più. Ci aiuteranno le altre notizie. Chiodo scaccia chiodo.

Ma quelli erano veramente uomini e donne come noi? Oppure solo fantasmi che le foto dei giornali e le immagini della tv avevano il compito di rappresentare allo scopo di esorcizzare la realtà, di indebolirne la forza d’urto? Il termine «schermo», in effetti, significa in primo luogo una superficie su cui si delineano delle figure; ma significa anche un filtro, un riparo, una difesa, come quando si dice «farsi schermo con la mano» per impedire alla luce troppo forte di ferire i nostri occhi. I due significati coesistono nella nostra esperienza di consumatori di televisione e, in genere, di prodotti mediatici. Il mondo irrompe nella nostra vita con una immediatezza e una quantità di dati che non sarebbero sostenibili se non ci fosse lo schermo a depotenziarli e a renderli inoffensivi. Così, anche la vista dei morti, e quella dei sopravvissuti, con il loro aspetto spettrale, non sono riuscite a toglierci né il sonno né l’appetito. Ancora prima di adottare l’estrema difesa della dimenticanza, ci eravamo messi al sicuro con quella intima impermeabilità che ci consente di non soffrire troppo.

Continueremo così? Ci lasceremo ancora impressionare (ma moderatamente) da altre barche alla deriva, per poi dimenticare, tornando ai fatti nostri? Certo, il problema è politico, non può risolverlo il singolo, neppure se avesse il coraggio di lasciarsene toccare e bruciare fino in fondo all’anima. Ma da chi dipende la politica di un Paese se non dall’opinione pubblica, che a sua volta è formata da tanti singoli? Il mare è fatto di gocce. Perché non potremmo – se solo lo volessimo – obbligare la classe politica a mettere all’ordine del giorno problemi seri come questo, invece delle risse e dei giochi di potere a cui ci ha abituati? Perché non potremmo imporre ai mass media di rinunziare, per una volta, a far ruotare il loro brillante caleidoscopio, per approfondire questa situazione?

Sappiamo bene che non ci sono ricette. Sappiamo anche che non dipende solo dal nostro governo risolvere il problema. Ma siamo certi che per un fratello, per una sorella che muore, faremmo qualcosa di più che assistere da spettatori di un giorno. Ma se questo è un uomo, è nostro fratello. Le soluzioni tecniche si troveranno, se ci sarà una costante pressione della società civile in questo senso. Se noi avremo il coraggio di non cambiare canale e di non dimenticare.

Immigrazione in Toscana, forte aumento dei regolari

Immigrati e integrati