Opinioni & Commenti
Se le esigenze di sicurezza entrano in conflitto con altre esigenze
di Romanello Cantini
Loro non possono essere accusate di essere una minaccia per la sicurezza delle donne italiane perché sono donne anch’esse. Non si può rimproverare loro di rubare il lavoro agli italiani perché è praticamente impossibile trovare una nostra connazionale disposta ad assistere un malato di Alzheimer che magari non ti fa dormire nemmeno la notte.
Né si può temere che le cosiddette badanti facciano una concorrenza sleale sul mercato del lavoro perché nessun italiano è disposto a lavorare ventidue ore al giorno (due sono di permesso) per ottocento euro al mese che fa poco più di un euro all’ora.
Nemmeno si può rinfacciare loro di portar via la casa agli italiani perché in genere vivono nella casa in cui lavorano. E nemmeno gravano sul bilancio pubblico per essere assistite. Anzi portano un contributo enorme alle finanze pubbliche addossandosi una parte enorme dell’assistenza con una sussidiarietà importata da un mondo dove c’è povertà, ma anche un po’ dell’antico rispetto contadino per il vecchio quali che siano le sue condizioni. Se ogni non autosufficiente che le badanti assistono dovesse essere affidato ad un ricovero costerebbe quattro volte tanto. Nei confronti delle badanti non è insomma applicabile nemmeno nessuna delle accuse standard che da sempre si usano contro l’emigrato.
Se le badanti ci danno un fastidio è semmai perché sono come le zanzare che ci ricordano che l’acqua è ferma. Il loro arrivo ci dice che ci siamo dimenticati di costruire strutture per il numero di anziani che sempre più superano gli ottanta anni e sempre più si invalidano mentre magari continuavamo a fare battaglie per continuare ad andare in pensione a cinquanta anni. Così come ci siamo dimenticati di procurarci asili nido sufficienti quando non volevamo o non potevamo stare dietro tutto il giorno ai bambini come ai vecchi. Perfino la preoccupazione originale di chi sostiene che se proprio gli immigrati nel nostro paese devono arrivare che almeno siano quelli che culturalmente sono più vicini a noi nel caso delle badanti è rispettata. Sono cattoliche se si tratta di polacche e di filippine. Sono pur sempre cristiane se si tratta di rumene, di bulgare o di ucraine.
Insomma c’è qualcosa che non va in questo cosiddetto decreto sulla sicurezza se alla fine va ad impantanarsi proprio sul tipo di emigrazione più tranquilla, più integrabile, meno costosa e più indispensabile per il nostro paese tanto che la eventuale messa fuori legge di un mezzo milione di badanti può gettare nella disperazione più gli italiani che sono assistiti che le straniere che vengono ad assistere. Evidentemente non è possibile fare entrare tutto il problema della emigrazione nella sfera dell’ordine pubblico perché la sua realtà sta al contrario quasi tutta nell’economico e nel sociale. È già quindi il metodo della legge in sé che rende impossibile padroneggiare ed affrontare un fenomeno di gran lunga più complesso e difficile della psicosi di sicurezza che pure provoca e a cui pure bisogna cercare di dare una risposta nei termini del possibile e del reale e non in quello delle ossessioni.
Non tutto nella legge è da buttar via anche perché si tratta di un minestrone di tante cose diverse. È difficile non condividere le norme contro la mafia e perfino la stretta nei confronti dei «murales» e dei matrimoni opportunistici. È anche evidente che non si può aspettare che la emigrazione di cui abbiamo bisogno arrivi con i barconi taglieggiati dalla malavita che vanno ad arenarsi a Lampedusa se non affondano prima.
Il sistema delle quote va mantenuto. Solo che ormai da dieci anni le quote concesse sono sempre inferiori alle necessità come ora dimostra in maniera clamorosa il bisogno insoddisfatto di badanti regolari, ma come hanno sempre dimostrato i bisogni soddisfatti solo in parte degli imprenditori per la industria manifatturiera e l’edilizia e quelli degli agricoltori per i lavori stagionali.
Ed, anche una volta allargate le quote e snellite con un loro decentramento le pratiche per i permessi di soggiorno, non si può guardare alla sicurezza con l’occhio strabico dalla realtà economica e sociale. Non si può, ad esempio, ridurre a sei mesi il periodo massimo in cui lo straniero può rimanere in Italia come disoccupato quando da almeno venti anni tutti cercano di convincerci che il nostro lavoro è destinato ad essere una somma di tanti lavori precari e che bisogna abituarsi a passare da un lavoro all’altro anche con periodi lunghi di disoccupazione e di riconversione.
Allo stesso modo, poiché se tutti i clandestini che esistono in Italia dovessero essere multati (con quali soldi?) e rimpatriati subito non avremmo né gli aerei, né le forze di polizia necessarie per un esodo impossibile, nel frattempo dovremmo domandarci che cosa ne sarà dei clandestini che rimangono e che saranno volenti o nolenti la maggior parte. Bisognerà chiedersi ad esempio se il clandestino che subisce una violenza magari da un suo connazionale e non può rivolgersi alla polizia per non essere accusato del reato di immigrazione clandestina non diventi uno strumento docile di ogni racket e di ogni organizzazione calamitosa.
E dovremmo anche interrogarci se, ad esempio, la norma che commina il carcere al proprietario che affitta ad un clandestino non spinga chi non ha un tetto sopra la propria testa a rivolgersi a chi per professione vive già da tempo sfidando il carcere. E poiché nonostante le modifiche apportate alla legge, almeno a sentire i timori espressi dagli ordini dei medici, non è poi così sicuro che il medico possa fare a meno di denunciare il clandestino che gli si presenta, c’è da temere ancora che non tanto la certezza, ma anche la possibilità di essere denunciato, spinga il clandestino a non ricorrere al medico e alle strutture sanitarie anche nel caso di sintomi gravi magari con la connivenza, se non con il ricatto, di chi gli dà lavoro ed ha paura di rischiare il carcere. Cominciando dal problema delle badanti c’è più di una cosa da rivedere in questa legge appena approvata.
Le esigenze di sicurezza in più di un caso possono entrare in conflitto con le esigenze economiche e sociali. Ma paradossalmente perfino con le esigenze della stessa sicurezza.