Opinioni & Commenti
Se la politica ha bisogno del perdono quaresimale
DI GIUSEPPE SAVAGNONE
La Quaresima è ormai alle porte e il suo approssimarsi giunge estremamente opportuno in un momento in cui, a livello nazionale e internazionale, il suo messaggio appare particolarmente attuale. Elemento fondamentale di questo messaggio è, infatti, quel leale riconoscimento delle proprie responsabilità, davanti a Dio e ai fratelli, che ci può aiutare a uscire dalle illusioni su noi stessi e a perdonare a nostra volta le colpe degli altri. Ora, oggi come mai, forse, di questo riconoscimento e di questo perdono c’è urgente bisogno.
Nei rapporti internazionali, innanzi tutto. La conclusione della guerra contro l’Afghanistan sembra non aver posto termine alle operazione politico-militari contro il terrorismo e gli Stati che lo appoggiano. In questo modo, esse finiscono per meritarsi davvero il nome che era stato dato loro in un primo momento «Giustizia infinita» , se non altro per quanto riguarda l’aggettivo. Non siamo fra coloro che hanno posto sullo stesso piano la terribile strage dell’11 settembre e la scelta degli Usa, con l’approvazione e perfino l’appoggio della stragrande maggioranza degli altri Paesi del mondo (compresi i tradizionali nemici: Russia e Cina), di agire con la forza per stroncare una gravissima minaccia alla loro sicurezza.
Ci riconosciamo, però, nelle obiezioni di quanti hanno visto nel modo concreto di condurre la guerra e nel trattamento inflitto in seguito ai prigionieri, non un intento di legittima difesa, bensì uno spirito di vendetta che nulla ha a che vedere con l’autentica giustizia.
Di più: all’origine di questo dramma sta, certamente, la follia di un fondamentalismo islamico che va condannato senza riserve; ma sta anche la follia, non meno grande, di un mondo ricco che continua a sperperare le proprie risorse, mentre centinaia di milioni di persone muoiono letteralmente per la mancanza di cibo e di cure elementari. Della prima follia si è molto parlato, e giustamente. Della seconda i responsabili delle grandi potenze industrializzate non hanno detto nulla. Ci sarebbe piaciuto sentire dal presidente Bush, insieme alla legittima esecrazione per il disumano atto di odio subìto dall’America, un riconoscimento dei torti storicamente accumulati da questa potenza e un solenne proposito di eliminare, per il futuro, le cause remote di quell’odio. Ma di tale richiesta di perdono non vi è mai stato il minimo cenno, né all’indomani dell’attentato (e questo è perfettamente comprensibile), né in seguito.
La Quaresima viene a ricordarci che i cristiani si caratterizzano precisamente per la loro disponibilità di ammettere umilmente i propri torti. Rifiutarsi di farlo, identificarsi con il Bene, significa rendersi incapaci non solo di percepire i termini reali della propria situazione, ma rendersi incapaci di perdonare l’altro, che viene automaticamente identificato con il Male. Da questo punto di vista, lo stile dell’Occidente evidenzia che il conflitto attuale è tutto tranne che un confronto tra prospettive religiose diverse, perché in campo, di religioni, sembra esservene in realtà solo una, quella islamica.
Qualcosa del genere sta accadendo pure all’interno del nostro Paese. Una polemica astiosa, una rissa senza esclusione di colpi, ha sostituito il dibattito politico. Anche qui, il Bene e il Male assoluti sembrano fronteggiarsi. Il problema è che entrambi i contendenti identificano se stessi con il primo termine e l’avversario con il secondo. In nessuna delle due parti sembra trovare spazio un briciolo di autocritica, meno che mai una richiesta di perdono, se non altro rivolta alla comunità civile. Da qui anche l’incapacità di venirsi incontro e di perdonare senza per questo dover giustificare le colpe reciproche.
Ancora una volta, lo spirito della Quaresima suggerirebbe un ben diverso atteggiamento. A prenderlo sul serio, esso inviterebbe a non demonizzare l’avversario e a riconoscere, se mai, gli errori e le colpe di cui si ha la diretta responsabilità. Solo dopo si avrebbe la lucidità e la credibilità per denunziare quelli degli altri.
Se poi questo stile appartenga a una tradizione bigotta, che non ha nulla da insegnare ai politici dei nostri giorni, o costituisca invece la sola possibilità reale di uscire dalle situazioni di stallo che, dentro e fuori l’Italia, si sono create negli ultimi mesi, lo lasciamo decidere a chi ha avuto la pazienza di seguirci in questa riflessione.