Opinioni & Commenti
Se la detenzione diventa umanamente indegna
Al mondo del carcere, isola di sofferenza, la gente presta un’attenzione discontinua; a volte si turba nel sentire che le condizioni di vita, il disagio e il dolore, sono al limite del sopportabile, e chiede maggiore umanità e qualche gesto di clemenza; altre volte, pressata dall’allarme sociale dei quotidiani delitti si sente assediata dalla criminalità diffusa, e chiede rigore inflessibile. I dibattiti ricorrenti sull’amnistia e sull’indulto, che negli ultimi tempi hanno accompagnato speranze e disperazioni, ne raccolgono i sintomi.
In Italia, il problema cruciale del sistema carcerario è il sovraffollamento, 60mila detenuti stipati in uno spazio sufficiente per 40mila. È un sovrappiù di sofferenza, rispetto alla privazione della libertà, che aggiunge qualcosa di ingiustamente crudele, sul piano della dignità umana. Più che redimere, genera semi di aggressività e di violenza. Quanto si è discusso, da Beccaria in poi, sulla filosofia del castigo, sulla giustificazione e sullo scopo, su quel che si paga e quel che si investe mettendo un uomo in ceppi; sull’equazione retributiva del taglione, occhio per occhio; sulla forza dissuasiva e intimidativa; sul ravvedimento e sull’emenda. Il rispetto della dignità umana è il primo ingrediente della riabilitazione che la pena insegue. Se manca la dignità della persona, se la punizione è «umanamente indegna», tutto si perverte e diviene un controsenso, un brutale esercizio che rincalza il puro dogma della forza, senza un orizzonte etico, e persino senza utilità.
Un carcere così è fuorilegge. Non ci metto parole mie, lascio parlare la legge n. 354 del 1975, che dice come devono essere fatti gli edifici penitenziari, per «accogliere un numero non elevato di detenuti»; e come devono essere i locali di soggiorno e di pernottamento; e le attrezzature per le attività lavorative, scolastiche, ricreative, culturali; e poi il trattamento rieducativo «individualizzato»; e poi i contatti risocializzanti con il mondo esterno; e poi, e poi infinite cose che par di sognare, e che sono rimaste nel cassetto dei sogni; o per dirla più chiara nel cassonetto delle promesse tradite. È gravissimo che lo sappiamo tutti, parlamento e governo compresi, e che si neghi ripetutamente un gesto di clemenza pur minimo, una goccia d’acqua nell’arsura dei disperati.