Firenze

Se la Comunione ai malati di coronavirus la porta la dottoressa: «Una gioia grande»

«Nei giorni scorsi – racconta la dottoressa – il cappellano, don Umberto, ci aveva scritto una bella lettera per spiegarci quanto sia importante in questi giorni il nostro lavoro. Siamo le uniche persone con cui i ricoverati possono entrare in contatto, questo ci dà una responsabilità grande che va oltre l’aspetto sanitario. Poi è successo tutto in fretta: mi ero appena vestita da astronauta, come diciamo noi, per entrare in reparto quando don Umberto mi ha avvicinata. Una paziente aspettava di ricevere l’Eucaristia. Così mi ha dato una busta, con dentro l’ostia consacrata e un biglietto scritto da lui. Mi ha spiegato come dovevo fare, cosa dovevo dire, e mi ha affidato questa missione. Mi ha messo tanto fermento dentro, mi sono sentita così piccola per fare una cosa tanto grande. Ma non potevo dire di no. Ho pensato che in fondo sarei stata un semplice strumento per far arrivare Gesù a una persona che lo stava aspettando».

Tutto si è svolto, comunque, sotto lo sguardo del sacerdote: «Il nostro reparto si affaccia su una terrazza che è raggiungibile anche da altre zone dell’ospedale, così don Umberto spesso viene alla finestra per avere un contatto almeno visivo con le persone ricoverate, per dire qualche parola attraverso i vetri. Anche quella volta è venuto e ha seguito quello che facevo». «Mi era capitato – prosegue – di ricevere la Comunione da ministri straordinari dell’Eucaristia, ma non pensavo che potessi essere io un giorno a dare la Comunione a mia volta».Eppure, all’ospedale di Ponte a Niccheri in questi giorni sono in diversi, medici e infermieri, a essersi trovati «nominati sul campo» in questo ruolo. Perché, spiega la dottoressa, «entrare nel reparto Covid richiede grande attenzione e preparazione professionale, vestirsi è complesso e soprattutto svestirsi, togliersi i vari dispositivi, è pericoloso se non lo si fa nel modo corretto». Lo dimostrano anche le notizie di cronaca dei giorni scorsi, che purtroppo hanno indicato proprio a Ponte a Niccheri un numero relativamente alto di contagiati nelle file del personale.Per questo chi è ricoverato nei reparti Covid non può ricevere visite, e l’accesso è consentito solo a medici e infermieri. Così tra le varie forme di cura, anche quella spirituale ha bisogno del loro tramite. «Nei pazienti – conclude la dottoressa – c’è smarrimento, sgomento, paura, sono state minate tante certezze. E anche per noi è difficile. Poi guardi negli occhi i malati, leggi nel loro sguardo che hanno bisogno di te, e vai avanti».

La lettera del cappellano agli operatori sanitari: «Ogni vostro gesto è prezioso»

“Non mi sottraggo per paura a entrare in reparto ma, in questo momento, i presidi sanitari sono preziosissimi e vanno lasciati in uso al personale sanitario che ne ha un bisogno assoluto. Non si tratta di discutere e porre questioni di principio: le risorse sono limitate e bisogna, con rammarico, prenderne doverosamente atto. Oggi più che mai. Vorrei, contemporaneamente, che il personale sanitario sapesse che ogni loro intervento, ogni loro gesto, ogni loro parola (direi adesso soprattutto: ogni loro sguardo!), in questo momento è più che prezioso”.Così don Umberto Cavini, assistente religioso dell’ospedale di Santa Maria Annunziata a Ponte a Niccheri, si rivolge agli operatori sanitari. Facendo riferimento alle parole del Papa, don Umberto spiega che la presenza accanto ai malati ha carattere sacramentale. «Questo non vuol dire – aggiunge – che ormai avremo una religione “fatta in casa, da soli”. Altro è il gesto sacramentale di un ministro ordinato a questo scopo dalla Chiesa, e altro è un gesto di tenerezza, di compassione fatto da qualsiasi altra persona. Eppure, sia in forza del Battesimo ricevuto e anche – indipendentemente dal credo religioso -, per il fatto di essere creature umane, voglio e devo – in nome del mio Signore -, rendervi l’onore, la dignità e la libertà perché vi sentiate ministri del Padre per l’umanità che vi è messa tra le mani».Continua ancora don Umberto: «In un’epidemia come questa dove le terapie sembrano, più del solito, avere un valore relativo, diventa sempre più prezioso e caro il gesto con il quale vorrete accompagnare la sofferenza di queste persone che, soprattutto in momenti come questi, appaiono ancor più fragili e sole! È quindi alla vostra premura che mi appoggio, è alla vostra sollecitudine che mi rivolgo, e questo – molti di voi lo sanno – da sempre e non solo in questa faticosa e dolorosa contingenza. Vi chiedo solo di darmene notizia, di comunicarmi – se possibile – i nominativi delle persone che avete accompagnato nella loro sofferenza perché io le porti nella mia preghiera e in quella di tutta la Chiesa. Tuttavia vale sempre ciò che Gesù, tra e altre cose, ha detto: “… e il Padre mio che vede nel segreto, nel segreto vi ricompenserà”! Iddio ve ne renda merito, nel fare quello che oggi vi vien chiesto di fare».