Opinioni & Commenti
Se i cattolici tornassero ad essere rilevanti nel 150° dell’Unità d’Italia
di Domenico Delle Foglie
«Senza» i cattolici e le loro opere e tanto meno «contro» i cattolici e le loro opere è davvero difficile tenere insieme questo nostro Paese così frammentato e diviso. Così difficilmente riformabile e governabile. Percorso com’è da perenni faglie sotterranee che, affiorando periodicamente, sembrano doverlo spaccare da un momento all’altro e assestare il colpo finale alle sue aspirazioni di futuro. Eppure l’Italia c’è, come ci sono gli italiani in grado di ripensare il presente sulla base della tradizione e di prefigurare il futuro in una chiave progettuale. Perché l’Italia senza i cattolici, senza i cattolicesimi, senza le sue radici, senza la sua Chiesa di Roma e il suo Papa, non è. O almeno non lo è mai stata, se solo si guarda al passato senza ottusi pregiudizi, placidi conformismi e azzardati revisionismi.
Con questa consapevolezza si è concluso il decimo Forum del Progetto culturale della Chiesa italiana che già dal titolo, «Nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Tradizione e progetto», denunciava l’ambizione di collocarsi dentro un cammino che viene da lontano e che guarda con fiducia al futuro, oltre ogni pur legittimo pessimismo. Da lontano perché come ha rimarcato il cardinale Angelo Bagnasco c’è «l’Italia prima dell’Italia». Già Francesco d’Assisi utilizzava il termine Italia, così poco corrente nel Medioevo, così come negli Stati preunitari l’unico sentimento che accomunava tutti era quello religioso e cattolico. «Affermare questa origine dell’Italia non significa ingenuamente rimarcare diritti di primogenitura ha precisato il presidente dei Vescovi ma solo cogliere la segreta attrazione tra l’identità profonda di un popolo e quella che sarebbe diventata la sua forma storica unitaria, per altro non senza gravi turbamenti di coscienza e, per lungo tempo, irrisolti conflitti istituzionali». Il resto della storia è noto a tutti, dal tentativo di costruire lo Stato unitario su basi anticristiane e antipapali, sino ai giorni nostri, con le nuove sfide legate al federalismo, all’assoluta necessità di riforme costituzionali e istituzionali, al non rinviabile rinnovamento delle classi dirigenti e del ceto politico. Ma con la coscienza avvertita, da parte dei cattolici, di essere «soci fondatori» di questo Paese.
Molte le suggestioni messe in campo, a partire dalla permanenza e persistenza della Chiesa nella storia del Paese, anche e soprattutto nei suoi momenti di crisi e di transizione. Se non addirittura di crollo imminente, comè accaduto nel 1943, con la «morte della patria» nella sconfitta bellica. Pio XII restò nella Roma occupata dai nazisti, mentre lo Stato si sbriciolava, così come i vescovi restarono con il popolo sofferente. E un domani sarà ancora così.
Seconda suggestione: l’orgoglio del nostro passato non basta. C’è un futuro davanti: sarà «guelfo», cioè genuinamente e concretamente «cattolico»? Dipenderà dai cattolici e dalla loro capacità di essere esemplari.
La terza e ultima suggestione l’ha offerta il cardinale Camillo Ruini, a riguardo della missione storica dell’Italia, con le parole di Giovanni Paolo II: «Difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo». A voler dare retta a Giuseppe De Rita, il cattolicesimo italiano è nella stagione dell’irrilevanza. Sarebbe divertente riuscire a dimostrare il contrario, proprio «nei» 150 anni dell’Unità d’Italia.