Opinioni & Commenti
Se Firenze rinuncia alla letteratura cristiana antica
Nel 1976 in Facoltà di Lettere a Firenze l’Istituto di filologia classica era giustamente celebre. Vi aveva insegnato Giorgio Pasquali, grande filologo ed editore anche dell’Epistolario di Gregorio di Nissa; vi lavoravano Alessandro Ronconi, Antonio La Penna, Giovanni Pascucci, Alessandro Perosa, Adelmo Barigazzi; vi si stavano formando giovani studiosi che avrebbero dato impulso agli studi dell’antichità. Il verbale del Consiglio di Facoltà di Lettere del 29 novembre 1976 recita: «La letteratura cristiana antica costituisce naturale continuazione degli insegnamenti di letteratura greca e di letteratura latina […], rappresenta necessaria cerniera tra la cultura classica e la medioevale, raccordandosi con l’insegnamento di letteratura latina medievale […]. Si trova ad essere intimamente collegata con gli insegnamenti di Storia della filosofia antica, Storia della Chiesa e Storia delle religioni in un ambito interdisciplinare che ne estende la rilevanza oltre i confini della scienza dell’antichità propriamente detta». La materia è considerata necessaria, se ne auspica la stabilizzazione, anche perché il settore di cristianistica è sguarnito e in Università come Torino la cattedra era stata istituita fino dal 1948.
Quella letteratura, greca e latina, testimonia il sorgere del cristianesimo, si apre con il Nuovo Testamento e si chiude con Gregorio Magno, comprende l’elaborazione della teologia cristiana, il formarsi della traditio, la risemantizzazione del patrimonio culturale pagano, il salvataggio del sapere classico, le origini del monachesimo: è alla base della cultura e dell’arte in cui viviamo immersi. Nonostante questo, inizia una strana vicenda che relega i portati e i progetti culturali a semplici comparse a favore di tutt’altro.
La materia, definita di straordinaria importanza nel 1976, dopo essere slittata tra le materie complementari del Corso di laurea in Lettere, era finita trentaseiesima nella programmazione del 1979. C’è sempre qualche insegnamento più necessario. Negli anni Ottanta la disciplina, nonostante ci sia in Facoltà un ricercatore dalla produzione consistente e stimato extra moenia, tace o sopravvive senza continuità. Si deve arrivare all’anno 1991-1992 per avere un affidamento della materia a quel ricercatore, chi scrive; da quel momento ci sono stati corsi regolari, tesi di laurea, laureati. Nel 2000 la cattedra di letteratura cristiana antica vede quel ricercatore diventare associato; le pratiche burocratiche si esplicano nel 2004. La storia non muta. La materia viene trattata con sufficienza: illustri professori di letteratura latina la definiscono materia inutile e si meravigliano che non scompaia; grecisti di stretta osservanza affermano che i testi cristiani non hanno una loro specificità, ragion per cui non è necessario un insegnamento apposito; per i giovani laureati in cristianistica è difficilissimo accedere ai dottorati di ricerca perché le prove sono sempre pensate per classicisti di stretta osservanza. Solo tre ragazze, molto motivate, ce la fanno. Ad uno studente bravissimo viene consigliato di cambiare pelle e tornare al classico. «Non si infogni con la letteratura cristiana antica» gli suggerisce un cattedratico di rilevante peso accademico.
Nonostante tutto questo si procede: si forma una sorta di «miniscuola» ed il debutto è a Oxford nell’agosto del 2007. Ciò che più gratifica è vedere l’interesse dei giovani per quel mondo. Ma il nomen christianum dà fastidio, benché la materia venga insegnata in maniera assolutamente scientifica e filologica, senza implicazioni confessionali, attraverso lettura di testi in lingua originale, con riferimenti alla cultura ebraica ed all’ebraico biblico. Si arriva all’ultima riforma: cristiana antica viene cassata dal biennio. Chi scrive ha tentato in ogni modo di opporsi ad una follia culturale che permette di laurearsi in lettere classiche senza aver mai letto un rigo di Vangelo in greco e di Agostino in lingua originale. Non c’è stato niente da fare: la disciplina è sparita. È stata potenziata al biennio: vale dodici crediti, ma non ha più laureati, perché gli studenti tendono a rimanere nella materia in cui hanno fatto la laurea breve.
E non basta: all’inizio dello scorso anno accademico è stato fatto un tentativo di ridimensionarla anche alla magistrale, con sei crediti obbligatori e sei liberi. Il docente si è opposto e per adesso la materia resiste. Per il triennio nell’anno accademica 2014-2015 ha chiesto ed ottenuto di fare un Laboratorio: sei iscritti si sono «divertiti» – l’espressione è loro- a confrontare «Il Maestro e Margherita» di Bulgakov con il «Vangelo di Nicodemo», hanno studiato il «Protovangelo di Giacomo» in rapporto a «La buona novella» di De André, hanno scoperto che Leopardi si ispirava alla Sacra Scrittura e ai Padri, che Tasso conosceva le «Omelie in Hexaemeron» di Basilio. Hanno messo in parallelo il pavimento musivo di Aquileia con l’esegesi coeva al libro di Giobbe e si sono accorti che la forma ottagonale del Battistero di San Giovanni potrebbe rispecchiare l’idea dell’octava dies, il giorno senza tramonto, l’eternità in cui il credente entra con il battesimo. Lo afferma Ambrogio. Qualcuno avrebbe voluto laurearsi in questa materia, ma non è possibile. Tutti hanno capito che la letteratura cristiana antica è inutile solo a Firenze.