Lettere in redazione

Se dopo l’indulto tornano in carcere

Caro Direttore,già in tanti stanno uscendo dal carcere, ma altri non hanno resistito al richiamo del sole a scacchi. Stanno tornando! Sono solo i primi, ma presto in molti li seguiranno: se non si troveranno alternative legislative intelligenti le carceri saranno sempre piene di questi signori che stanno male dietro le sbarre, ma appena sono liberi non si trattengono dal rubare, spacciare, truffare.

È banale chiedersi perché non la smettono di delinquere? Se stanno così male in prigione perché fanno tutto il possibile per rientrare? Non sarebbe meglio punire i reati minori con sano lavoro obbligatorio?

Ciò che temono maggiormente i delinquenti è la fatica di un lavoro: diamo loro la certezza della pena, non dolorosa, ma faticosa. Non è per crudeltà, ma spesso un mestiere reinserisce le persone nell’ordine sociale comune: la coscienza di essere utile, produttivo può veramente far miracoli.

Dalle carceri non escono solo ricchi mafiosi, ma spesso solo poveri sciocchi che hanno fatto ciò che hanno commesso per aver perso il controllo di sé, per alcool o droga. I grandi delinquenti, quelli con principii tutti sbagliati nel loro cervello, escono in un altro modo dal carcere, con i bravi avvocati professionisti, ben pagati.Lettera firmata Secondo i dati forniti dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, in Toscana hanno finora beneficiato dell’indulto 1500 persone, mentre i rientri per reati commessi dopo la scarcerazione sono una quindicina. Questi i numeri che fanno, almeno per la nostra Regione, giustizia di voci di rientri massicci. Ma lei, caro lettore, si chiede – e il problema non può non imporsi alla nostra riflessione – perché dopo l’esperienza del carcere molti «non smettono di delinquere», anzi sembra che «facciano di tutto per rientrarvi». La questione non è facile e soprattutto non può essere banalizzata né con la teoria del Lombroso, magari aggiornata, dei «delinquenti nati», che sancisce così la irrecuperabilità di alcune persone, né con l’attribuire ogni responsabilità alla società e alle condizioni socio-economiche, anche perché, se è vero che queste possono facilitare o spingere a delinquere, molto spesso la devianza è presente anche in persone acculturate e nate e cresciute nel benessere. Anche qui in fondo si tocca il mistero del cuore umano. In ogni caso però noi pensiamo – anche alla luce del Vangelo – che nessuno può restare inchiodato per sempre al male commesso e che voltare pagina si può. Certo bisogna volerlo, ma l’esperienza ci insegna che da soli difficilmente ci si riesce, se non c’è l’aiuto concreto della comunità che deve saper dare una mano, anche perché chi esce dal carcere spesso non ha alle spalle una famiglia che può accogliere e facilitare il reinserimento.Il primo passo è dar loro «la coscienza di poter essere ancora utili» e questo si realizza sia superando i pregiudizi che ancora li circonda sia offrendo un lavoro, che oggi però è merce rara per tutti, figuriamoci per un ex carcerato.Fortunatamente non mancano le iniziative, soprattutto ad opera del volontariato carcerario che ha nella nostra regione una lunga tradizione che si radica nelle benemerite botteghe artigiane nate proprio per l’inserimento dei carcerati nel mondo del lavoro.Forse però, come lei accenna, una società attenta dovrebbe puntare di più sulla prevenzione, prevedere pene alternative per i reati minori e soprattutto fare in modo che il carcere sia davvero mezzo di recupero della persona, cosa questa da cui siamo purtroppo ancora molto lontani.

INDULTO, BILANCIO ‘GARANTE DETENUTI’: IN TOSCANA ESODI COSTANTI E POPOLAZIONE DIMEZZATA

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