Opinioni & Commenti
Scuola superiore, inserirsi nella riforma con un contributo coerente e creativo
Come si sa, il decreto, che dovrà essere approvato dalla conferenza Stato-Regioni e poi dal Parlamento, prevede alcune novità significative. Ci saranno otto licei, quattro senza indirizzo (classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane) e quattro con indirizzo (economico, tecnologico, artistico e musicale). Accanto a questi licei ci sarà un secondo canale di istruzione e formazione professionale. Questo percorso di quattro anni rilascerà un diploma professionale che, integrato con un quinto anno di studi, permetterà l’accesso all’Università.
È previsto un libero passaggio da un canale all’altro durante il percorso formativo. Anzi a questo proposito è prevista una nuova istituzione, il campus,che prevede una sede unica per licei e scuole professionali con l’intento di avvicinare il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. Lo scopo evidente di questa novità è quello di vincere la battaglia della dispersione scolastica che è ancora una notevole piaga sociale e dare al tempo stesso pari dignità e pari opportunità anche a coloro che seguono questo secondo percorso. Altre novità significative sono il rafforzamento dell’inglese, l’insegnamento di una materia non linguistica in inglese, almeno nel quinto anno, una seconda lingua obbligatoria, l’insegnamento dell’informatica con tanto di patentino finale al termine del primo biennio. Il canale dell’istruzione e formazione professionale prevede tre o quattro anni al termine dei quali, nel primo caso si consegue un certificato di qualifica professionale, nel secondo un diploma professionale. Questo percorso prevede periodi di tirocinio nelle aziende come del resto si fa già in tutta Europa.
E’ evidente che questa riforma ha i suoi sostenitori e i suoi detrattori e ognuno ha ben diritto di portare le sue ragioni favorevoli o contrarie, di sottolinearne gli aspetti positivi e quelli problematici.
Quello che a me preme evidenziare in questa sede è la responsabilità che grava sulle spalle del mondo cattolico in un frangente come questo.
È indubbio che la riforma, per esempio, molto opportunamente ha introdotto il concetto di piani personalizzati, e questo non può non essere approvato il linea di principio dai cattolici che del personalismo fanno un punto irrinunciabile della loro concezione educativa, ma è altrettanto indubbio che questa riforma, certo anche giustamente, guarda molto al mercato, al lavoro e alla produzione. Questo va bene, purché non vada a scapito del primato della formazione e dell’educazione in un periodo come quello dell’adolescenza in cui prima del lavoratore dobbiamo formare l’uomo.
Per noi che «abbiamo a cuore l’eterno», direbbe don Barsotti, il problema non è tanto la riforma Moratti o Berlinguer, è chiaro che sono tutte perfettibili e tutte lacunose, il problema piuttosto è quello di inserirsi realisticamente nello strumento che viene offerto, con un nostro originale, coerente e creativo contributo.
Quello che ci dovrebbe preoccupare è il fatto che la comunità cristiana, talvolta, è lontana dal mondo della scuola, della ricerca, della riflessione culturale. Talvolta si teorizza la separazione netta tra la pastorale parrocchiale e l’educazione di natura scolastica in nome di una mediazione culturale razionalmente motivata che apparterrebbe solo alla scuola.
Questa mentalità, diciamo fideistica, ci porterebbe pericolosamente a un distacco dai luoghi dove si elabora cultura.
Un esempio e una conferma di questo mi pare venga dal modo con cui spesso si affronta in questi giorni la problematica legata al prossimo referendum sulla procreazione assistita. Sembra talvolta che la logica ideologica degli schieramenti impedisca di affrontare ragionevolmente le ragioni della scienza.
La riforma della scuola allora potrebbe essere un appuntamento veramente provvidenziale per inserirsi in questo enorme sforzo di rinnovamento che la scuola italiana sta affrontando e, mediante progetti precisi, contributi puntuali, iniziative culturali, percorsi interdisciplinari, ridare un respiro più vasto e un orizzonte più completo a una scuola che, altrimenti, rischia facilmente di essere solo funzionale al mercato e al lavoro.