Toscana

Scuola, stranieri più indietro. Ma a Pisa c’è un progetto

di Andrea BernardiniIn Italia quasi quattro alunni immigrati su cento devono ripetere almeno un anno della scuola primaria, undici su cento superano la scuola secondaria di primo grado in quattro o più anni e ben ventotto su cento arrivano alla maturità dopo almeno sei anni di frequenza alla scuola secondaria di secondo grado. Una situazione, questa, comune a molti Paesi europei: numerose ricerche mostrano che gli alunni appartenenti a minoranze culturali ottengono risultati scolastici inferiori alla media. Perchè? Soprattutto per la differenza fra il background culturale che i bambini immigrati respirano nella scuola e quello respirato nelle loro case. Un buon dialogo fra gli insegnanti ed i genitori appartenenti a minoranze culturali, dunque, è essenziale per migliorare il rendimento dei loro figli ed il sostegno che gli stessi genitori possono dare loro.

Per migliorare questo dialogo, alcuni istituti universitari di formazione degli insegnanti, associazioni di genitori ed istituzioni che lavorano con minoranze culturali in Italia, Danimarca, Olanda e Polonia, hanno dato vita ad un progetto. Si chiama Good Intercultural Dialogue in the Schools e alla sua realizzazione partecipano nel nostro Paese tre realtà pisane: il Centro di ateneo di formazione e ricerca educativa (Università), l’Istituzione centro nord-sud (Provincia) e la Libera associazione genitori.

Interviste, video, dossier, incontri, giornate di studio si protrarranno per due anni. Obiettivo: «Accrescere il rispetto delle differenze culturali nel sistema scolastico – commenta il professor Franco Favilli della Libera associazione genitori. Migliorare i risultati scolastici degli alunni immigrati ed il sostegno che i genitori appartenenti a minoranze culturali possono dare alla scuola». Sì, ma come? «Intanto dovremo analizzare gli ostacoli che ci sono per il raggiungimento di un buon dialogo. E poi vorremmo raccogliere esempi di buone pratiche già esistenti nel campo del dialogo e la collaborazione fra insegnanti e genitori appartenenti a minoranze culturali. Infine, confronteremo queste buone pratiche nei paesi che partecipano al progetto, così da identificare quei metodi che possono funzionare ovunque». Nello scorso dicembre si è tenuto un primo incontro di lavoro a Copenhagen. Il prossimo incontro sarà ospitato dall’Università di Pisa alla fine del mese.

Di rendimento degli studenti stranieri nella scuola superiore di Pisa si è occupata, di recente, anche la Caritas toscana. Un focus group ha cercato di andare a fondo sulle ragioni delle difficoltà incontrate dai ragazzi. Problemi di lingua, di inserimento nel gruppo, di rapporto con l’insegnante. «La scelta più comune per gli studenti non italiani – osserva Federico Russo, curatore del dossier Caritas sull’immigrazione per la Toscana – è di frequentare un istituto professionale». Motivo: in molti casi sarebbero le stesse famiglie a spingere i ragazzi verso queste scuole, che oltre ad apparire più facili, vengono ritenute più utili.

Il documento della Caritas ha anche preso in esame il fenomeno del razzismo. Dal focus group emerge come qualche tipo di stereotipo nei confronti degli alunni stranieri, in effetti, esista, specie nei confronti degli studenti marocchini, albanesi o rom. In particolare «quasi tutti hanno sottolineato – commenta ancora Federico Russo – che insegnanti ed alunni ragionano frequentemente per categorie, parlando di noi contrapposti a loro oppure sostituendo i nomi con le nazionalità (“oggi l’albanese è assente”). Critico appare il ruolo degli insegnanti che, perpetuando in questi comportamenti, rafforzano sia pur inconsapevolmente gli stereotipi, o per lo meno non li ostacolano».

La situazione negli altri paesiIn Inghilterra il successo scolastico degli alunni di etnie diverse è costantemente monitorato. Lo impone il Race Relations Act, normativa stringente pensata per dare a tutti garanzie di non discriminazione e pari opportunità. In media, gli alunni neri, bangladeshi e pakistani riescono meno bene degli alunni «bianchi». Molto bene invece i cinesi e gli indiani, che ottengono voti eccellenti al termine della scuola dell’obbligo, meglio degli stessi bianchi e degli alunni neri di varia provenienza.

In Spagna il Ministero dell’educazione spagnolo non fornisce dati statistici che misurano il successo scolastico degli alunni stranieri. Studi sulle comunità marocchine e dominicane rilevano come incida molto sul rendimento la fase, più o meno avanzata, di inserimento degli immigrati nel sistema scolastico: ovvero i bambini stranieri che iniziano il loro percorso in Spagna sono destinati quasi sicuramente ad affrontarlo con successo, mentre trovano maggiori difficoltà alunni che si inseriscono durante il ciclo della secondaria obbligatoria (cioè dopo i dodici anni).

In Francia la scuola è orientata a contrastare l’insuccesso scolastico di tutti i ragazzi, di là dalla loro appartenenza etica. Il tasso di riuscita dipende, per lo più, dall’età e dall’origine sociale degli alunni.

La grande maggioranza di alunni entra nella scuola materna a tre anni. Incontra maggiori difficoltà chi non usufruisce di questo ciclo di tre anni, specie se figlio di impiegato o operai. Gli alunni stranieri con un anno di ritardo scolastico, in media, prendono in matematica e francese voti da 10 a 15 punti in meno rispetto a quelli di un alunno (in genere francese) in regola con il percorso scolastico.