Opinioni & Commenti
Scuola, quando il decoro passa avanti a Dante
All’uscita della scuola dove insegno c’è un semaforo che vorrebbe, col suo verde, rosso e giallo, disciplinare il passaggio di automezzi e pedoni. Per rafforzare il senso dell’esistenza di questo semaforo e per prevenire i rischi dell’entrata e uscita in massa degli studenti, la polizia municipale provvede a inviare nelle ore critiche addirittura due vigili urbani.
Ebbene, è incantevole – se non fosse assai amaro – come in quelle ore di punta, sotto lo sguardo indecifrabile dei vigili (vigili!), studenti e professori traversino con verde, giallo o rosso, come meglio credono, e gli autisti si adattino con uno sguardo vigile – questo sì! – orientato in modo oscillante tra il colore del semaforo, i pedoni da evitare e il comportamento dei vigili da interpretare. Genitori premurosi attendono con l’auto in divieto di sosta e sul marciapiedi. Alcuni gettano carte e «masticoni» per terra, l’altra settimana uno scriveva sul muro un messaggio alla ragazza. E il semaforo che continua la sua azione automatica quanto svuotata di ogni significato, come ogni regola annunciata e non praticata, rafforzata nelle parole e non nei fatti. Ho chiesto un parere a qualcuno dei protagonisti di quel quotidiano flusso sregolato sotto gli occhi dei garanti delle regole. «Via… è una piccolezza, ci sono ben altre cose più urgenti!» è stata la risposta più gettonata. Regole, decoro, pulizia: vi sono questioni più urgenti?
Bene: sarà un ennesimo fuoco di paglia l’annunciata priorità della scuola nell’agenda del nuovo governo Renzi e della ministra Giannini? Sarà un editto che preannuncia una nuova incompiuta scelta di partire dalla pulizia e dal decoro delle scuole, dalle minime regole della civiltà, lasciandoci ancora più sfiduciati e depressi, col sentimento della inutilità di qualsiasi azione riformatrice? Presidente e ministra che cantano in mezzo a docenti e allievi, nel primo giorno di governo, potrebbe essere più di una foto opportunity…
Perché la scelta sarebbe intelligente e rivoluzionaria. Una scelta umile, perché praticabile e responsabilizzante. Partire da ciò che si può fare, specialmente se attinente ai fondamentali della vita, ha un valore inestimabile. Dedicarsi alla pulizia e alla cura di sé è il segno del benessere, così come sporcizia e incuria sono segno di depressione e degrado psicologico e morale. Rinascita e disfacimento partono da qui e depressione individuale o collettiva si combattono con poche regole fondamentali. Tenere e tenersi puliti è una regola non solo da annunciare, ma che è possibile praticare. Come fermarsi al semaforo rosso, con o senza vigile presente. Ogni persona, ogni classe, ogni istituto può farlo. Se incentivato, meglio. Se lo fa ha titolo – ha merito – per essere sostenuto e premiato con ciò che da sé non può fare. La piccola regola, infatti, dissolve e sconfigge alibi personali e collettivi, dichiarando la ferma volontà di uscire da una crisi, personale o collettiva.
Se gli annunci di Renzi e Giannini saranno seguiti da fatti immediati e successivamente sostenuti nel tempo, potremo segnare un passo avanti sensibile verso quell’Italia che desideriamo, poiché nessuna legge ci salverà senza un cambiamento di mentalità. E protagonista assoluta di questa operazione non può che essere la scuola. Ne sono convinto perché mio padre, per sei anni prigioniero degli inglesi in India, durante tutta la seconda guerra mondiale, mi ha ricordato fino alla noia – noia che sorge presto nel bambino e nell’adolescente quando gli adulti ripetono i condensati di esperienza che penetrano fin nel midollo delle ossa – che poté sopravvivere fino alla fine dentro i reticolati dei campi nell’Himalaya perché ogni giorno salutava il nuovo giorno, si lavava con cura, si lucidava le scarpe e metteva i pantaloni in piega, sopportando l’ironia dei compagni, molti dei quali, invece, si tolsero la vita.
Ne sono convinto per l’acuta testimonianza di Victor Frankl, psichiatra, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, quando, uscendo dal lager, finalmente libero con i compagni, ci racconta: «d’un tratto ci troviamo in un campo di fresca semina. Automaticamente mi scanso; il compagno però mi prende il braccio e mi trascina con sé proprio nel mezzo. Balbetto qualcosa, dicendo che non dobbiamo pestare i campi seminati da poco. L’altro si arrabbia: nei suoi occhi guizza una luce irata, mentre mi urla: “che ti prende? E a noi non hanno portato via niente? Hanno mandato al gas mia moglie e mio figlio – senza tener conto di tutti gli altri – e tu vuoi impedirmi di calpestare qualche filo d’erba…”». Occorre molto tempo – conclude Frankl – per ritrovare la propria umanità quando la si è persa. Piegarsi a un gesto che può apparire banale, prendersi cura di sé e di ciò che abitiamo ogni giorno significa evitare la disumanizzazione e dare senso, significato e bellezza al vivere.
La regola della pulizia e del decoro non può non essere il fondamento di quel luogo dove trascorriamo tanti anni intensi della nostra vita, dove i nostri figli e nipoti si preparano a diventare persone e cittadini. Dobbiamo insegnar loro – con la prassi che avvalora la regola – che né i versi Dante o di Sofocle né le immagini di Giotto o di Picasso, né le lavagne zeppe di numeri o di schemi né alcuna narrazione storica possono convivere col sudicio e con l’incuria.