Opinioni & Commenti

Scuola, l’ultima campanella per un anno di forti contraddizioni

di Giuseppe Savagnone

Un anno scolastico si conclude. È il momento di fermarsi e provare a fare un bilancio. Abbiamo sentito ripetere tanti slogan tra loro contraddittori: da parte del ministero si è parlato di «una svolta epocale», da parte dei sindacati si è gridato alla «distruzione della scuola pubblica». Che dire, alla prova dei fatti, di queste affermazioni?

In realtà, i giochi erano già fatti in partenza, a settembre. Risale a quella data il rapporto dell’Ocse da cui risulta che il nostro, fra i 35 Paesi più sviluppati del mondo, è al penultimo posto quanto a investimenti nella scuola – il 4,5% del Pil –, seguita solo dalla Repubblica slovacca che spende il 4%, contro una media degli altri Stati che è del 5,7%. La posizione in classifica dell’Italia peggiora ancora – ultima! – se si guarda alla percentuale di spesa pubblica destinata alla scuola, il 9%, rispetto a una media degli altri Paesi del 13,3%.

Le conseguenze sono note. La più grave, a nostro avviso, è la persistente penalizzazione degli insegnanti sul piano economico, che determina demotivazione e, nei giovani migliori, scarsa attrazione per questo lavoro.

Di fronte a questa situazione, la «cura» del governo è consistita nel tagliare pesantemente (si parla di 8 miliardi di euro in tre anni) le già magrissime risorse a disposizione e di bloccare (sempre per tre anni) gli stipendi già bassi dei docenti, congelando gli scatti di anzianità. Sono evidenti, a questo punto, le ragioni di chi vede in questa linea non l’intento di riformare, quanto quello di risparmiare.

Da parte del ministero si è ribattuto che la logica seguita è stata quella di una razionalizzazione, senza sacrificio per nessuno. Di questo, francamente, possiamo dire che non è vero. Intanto sono stati mandati a casa decine di migliaia di precari che da tanti anni vivevano dello stipendio di insegnante o comunque di operatore scolastico, creando un problema sociale di estrema gravità.

Ma anche a guardare i risultati dei tagli dal punto di vista della «razionalità» interna della scuola, proprio l’anno che abbiamo alle spalle ha evidenziato un serie di disfunzioni, che invece di risolvere hanno aggravato i problemi della nostra scuola. Disfunzioni tanto più pesanti quanto più in contrasto con il tenore delle dichiarazioni ufficiali, che esaltano la «personalizzazione» dell’insegnamento come obiettivo fondamentale del nuovo corso. Non ha certo potuto giovare a questa personalizzazione la drastica riduzione degli insegnanti di sostegno, né l’aumento degli alunni per classe, né l’accorpamento di classi (con conseguente perdita della continuità didattica), né alcune alchimie, come quella che  nel biennio del liceo classico ha diminuito di un’ora la cattedra di italiano e di un’altra ora il blocco geografia-storia (portando alla fusione delle due discipline sotto la problematica etichetta di «geostoria»), costringendo i docenti a completare i loro orari con ore prese da altre sezioni e distruggendo, anche qui, ogni tipo di continuità didattica.

Di buono ci sono rimaste le intenzioni del ministro, che vorrebbe trovare un sistema per valorizzare i meriti dei docenti, invece di appiattirli con lo stesso trattamento economico. Ma, se la logica continua ad essere quella che ha guidato fin qui la «riforma», nessuno può dar torto a chi dice che i dubbi sono legittimi….

Da parte loro gli studenti e le opposizioni non hanno trovato nulla di meglio che rinnovare – quest’anno con rinnovato entusiasmo – il vetusto quanto sterile rito delle «occupazioni». Qualcuno ha detto, mente si svolgevano (nel solito periodo prenatalizio), che eravamo davanti a un segno del ritorno dei giovani alle loro responsabilità politiche. Sta di fatto che, dopo le vacanze, puntualmente, non se ne è parlato più (come ampiamente previsto). Con il risultato, annunciato, di una successiva corsa al recupero di interrogazioni e programmi e un minore spazio disponibile per quel dibattito critico che dovrebbe essere il vero punto di riferimento per la formazione intellettuale – in modo particolare per quella politica (non partitica!) – degli studenti. D’altronde, se davvero il ministro precederà, come ha dichiarato, nella direzione di valorizzare sempre più i test (già in uso per le verifiche Invalsi) come forma di valutazione, di simili dibattiti non ci sarà più bisogno.

Eppure, la formula secondo cui la politica del ministero sta «distruggendo la scuola» non è meno falsa di quella che parla di «riforma epocale». Nessun ministro può distruggere la scuola. Perché essa, come tutti gli organismi vivi, è in grado di metabolizzare gli stimoli che vengono dall’esterno e di adattarli ai suoi ritmi e alle sue esigenze. Anche quest’anno, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, al di là delle leggi e delle circolari, vi è stato l’impegno silenzioso, intelligente, appassionato di tanti docenti, personale Ata, dirigenti (e perfino di alcuni genitori, anche se purtroppo rari) che, in collaborazione stretta con la fascia più qualificata degli studenti, hanno sopperito ai bassi stipendi, alla svalutazione sociale, alle storture burocratiche, al disimpegno dei colleghi, facendo rivivere la grande e bella esperienza del rapporto educativo. Lo chiamano «capitale umano». L’espressione non ci piace. Ma rende l’idea di una ricchezza su cui si può contare e di cui dobbiamo, malgrado tutto, essere fieri.