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Scuola, anno nuovo, problemi vecchi

di Giuseppe SavagnoneNeppure la «grinta» manageriale del ministro Moratti ha potuto evitare che anche quest’anno la scuola si apra all’insegna di una grande incertezza. Destino inesorabile o errori e cattiva volontà umani? Di destino non ci sembra il caso di parlare. Più corretto sarebbe, piuttosto, ricordare le dimensioni dei problemi – che in questo caso sono veramente immani – e la loro intrinseca delicatezza, non solo sotto il profilo politico, ma anche sotto quello filosofico e pedagogico. Una riforma della scuola dovrebbe essere un punto di convergenza, l’espressione di una sintesi culturale. Ma è appunto quella che oggi manca, nel nostro paese e, più in generale, nella nostra società, definita «complessa» proprio per evidenziare la molteplicità di punti di vista e la frammentazione che la caratterizzano. In queste condizioni sarebbe difficile a chiunque evitare di impantanarsi nel gioco dei veti incrociati e delle contestazioni.

Quanto agli errori, qualcuno è stato fatto. Nel tentativo di rendere operativa la legge – già varata a suo tempo dal governo di centro-sinistra – che opportunamente superava l’equivalenza tra scuola pubblica e scuola statale, il ministro ha dato l’impressione di voler favorire gli istituti non statali, lasciando cadere alcuni controlli indispensabili per garantire la loro effettiva finalità pubblica. Significativa, a questo proposito, la discutibilissima riforma degli esami di Stato, che ha abolito ogni verifica esterna alle scuole stesse. Così pure, la razionalizzazione dell’utilizzo del personale scolastico – effettivamente eccedente e mal distribuito – ha finito per tradursi in un regime che penalizza sacrosante esigenze didattiche, per esempio con l’accorpamento forzato di classi, per non dire del drastico taglio alle supplenze e dei disagi enormi che esso ha comportato nella vita concreta delle scuole.

Ma questo tira già in ballo il problema della «volontà», precisamente quella del governo, il quale si è mostrato molto tiepido di fronte alla prospettiva di investire sulla scuola, destinandole le risorse finanziarie che sarebbero state necessarie per una seria riforma. In questo modo il progetto globale della Moratti sembra essersi arenato e lo stesso ministro si è trovato isolato. È la situazione di fondo appena descritta – assai più che l’incertezza legata alla sperimentazione della riforma in alcune scuole elementari, oppure alla validità o meno delle graduatorie delle supplenze – a creare un senso di precarietà e di malessere in questo inizio di anno scolastico. Di per sé, l’idea del ministro di avviare in alcune scuole l’esperimento dell’iscrizione a cinque anni e mezzo e del «maestro prevalente» può essere discussa, ma, dopo tante sperimentazioni fatte in passato, non dovrebbe essere motivo di scandalo. Quanto alle graduatorie, se davvero il numero dei casi coinvolti dalla sentenza del Tar del Lazio fosse esiguo, come dice il ministero, non ci sarebbe da drammatizzare.

La verità è che, nel clima di scontro che si è creato, questi problemi, importanti ma non decisivi, finiscono per essere utilizzati polemicamente dai sindacati e dall’opposizione, esasperati dalla scarsa considerazione riservata finora alle loro richieste, per gridare allo sfascio. Così, dall’una e dall’altra parte, si perde un’occasione preziosa di ascolto reciproco e di costruttivo confronto sui grandi temi da cui dipende il futuro della pubblica istruzione nel nostro paese. Un cattivo esempio di «convivenza civile» offerto ai ragazzi che in questi giorni torneranno sui banchi.