Italia
Scoprire che il «nemico» è una persona come te
di Sara Martini
«Dal 14 al 24 agosto 2008 ci siamo incontrati al Villaggio La Vela a Castiglione della Pescaia, chiamati dall’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira da paesi diversi: Russia, Palestina, Israele e Italia. Apparteniamo anche a religioni diverse, siamo ebrei, musulmani, cristiani ortodossi e cattolici». È il primo paragrafo del Documento finale ( testo integrale) stilato dai giovani protagonisti del Campo Internazionale. Quasi 100 i partecipanti all’iniziativa, che ormai costituisce uno degli appuntamenti più significativi dell’attività estiva dell’Opera «La Pira». Un «miracolo» anche soltanto la realizzazione dell’esperienza di per sé, dato il coinvolgimento di giovani provenienti da terre in cui, sebbene vicini per luogo di residenza, non hanno effettivamente la possibilità di incontrarsi e conoscersi. «Abbiamo iniziato questo campo come stranieri, ma lo terminiamo da amici che vogliono continuare ad agire, crescere e sperare insieme», dicono i partecipanti nel Documento conclusivo che riassume i loro pensieri. «Torniamo a casa cambiati continuano qualcuno fra noi, proveniente dalle zone di conflitto, ha iniziato questo campo pensando ad altri come a nemici che portano armi puntate su di lui. Ci siamo scoperti reciprocamente come persone umane reali, condividendo pensieri, divertimento, spontaneità, cibo e sorrisi insieme. In particolare giocare e ridere, riflettere e pregare insieme è stato essenziale. Siamo onorati di avere incontrato gli altri partecipanti al campo». Chissà cosa avranno pensato mentre i giovani provavano questi sentimenti al Villaggio, il professor La Pira così come il fondatore dell’Opera, Pino Arpioni, e i tanti che dal cielo hanno accompagnato l’esperienza, magari da loro stessi vissuta negli anni passati. È particolarmente significativo pensare, mentre si soggiorna a «La Vela», di vivere un’esperienza singolare ma al tempo stesso possibile perché legata a quelle degli anni precedenti e soprattutto alle prime che posero le basi per l’instaurarsi di amicizie feconde con le realtà Università «Mgimo» di Mosca, «Centro Peres per la Pace» di Tel Aviv, Organizzazione «Common Cause» di Mosca, la parrocchia latina di Gerusalemme, la parrocchia cattolica Santa Caterina d’Alessandria di San Pietroburgo che collaborano anche dall’estero alla realizzazione del Campo. E quest’anno hanno inoltre partecipato alla preparazione del Campo i Giovani Musulmani d’Italia, i giovani di Azione Cattolica e della Fuci Toscana, i giovani dell’Agesci: un segno tangibile del desiderio comune di percorrere la strada del dialogo e della collaborazione.
«Il Campo Internazionale di quest’anno afferma Samuele Bartolacci, che ne è stato il direttore, si è sicuramente caratterizzato per il clima di serenità e collaborazione che si è potuto gustare immergendosi nelle varie attività in cui i giovani sono stati chiamati a mettersi in gioco. Il metodo dell’«educazione integrale» della persona, che l’Opera adotta in tutti i campi scuola, da quelli per i ragazzi delle scuole medie inferiori fino agli ultimi anni delle superiori, è risultato di grande importanza per poter far vivere a pieno l’esperienza proposta. Infatti, il dare valore ai vari aspetti della persona, quello spirituale, quello relazionale e quello formativo-culturale, con la suddivisione della giornata in momenti ben precisi e importanti tutti allo stesso modo, è stato l’elemento essenziale per il quale i giovani si sono ritrovati amici. È così che il mare, i giochi, la preghiera, gli incontri di riflessione, i momenti dei pasti…, hanno giocato il loro fondamentale ruolo educativo».
Il Campo Internazionale 2008 ha avuto come tema «Sviluppo umano e speranza»: «abbiamo condiviso», dicono i giovani, «l’idea che lo sviluppo non è un insieme di condizioni da realizzare o una ricetta da mettere in atto. Per sviluppo umano intendiamo la possibilità di ogni comunità di scegliere in libertà e democrazia il proprio futuro e di percorrere la strada per realizzarlo». Grazie all’intervento del professor Riccardo Petrella e di Riccardo Moro e successivamente attraverso il lavoro e il confronto in piccoli gruppi, al termine dell’esperienza i partecipanti hanno affermato che «seppure la dimensione economica è essenziale per garantire ai membri delle comunità i beni e i servizi necessari per soddisfare i bisogni fondamentali, questa non esaurisce la vita della comunità né è il fine ultimo. Anzi, uno sviluppo economico fine a se stesso rischia di aumentare le disuguaglianze sociali e far peggiorare le condizioni di vita dei più poveri».
Il Documento recita ancora: «Non c’è sviluppo umano se non sono garantite la pace e la sicurezza di tutti i cittadini. Non c’è sviluppo umano se non sono assicurate democrazia e pluralismo, le libertà fondamentali e la possibilità di una partecipazione autentica di tutti i membri della comunità alla vita sociale. Non c’è sviluppo umano senza una informazione libera e pluralista, e che dia anche spazio alle buone notizie. Non c’è sviluppo umano se a tutti non viene garantito l’accesso all’educazione e la possibilità di ampliare la propria conoscenza».
Prezioso in particolare è risultato il dialogo instaurato dai giovani nei sottogruppi, che hanno favorito la condivisione di esperienze personali. «Quando racconteremo dell’esperienza una volta tornati a casa», dice Maria, studentessa russa di Relazioni Internazionali, «potremo parlare dei contenuti emersi portando anche gli esempi concreti condivisi e questo darà spessore alla nostra testimonianza».
E la «Speranza», elemento che ha permeato l’intera esperienza, è stata al centro di un’ulteriore riflessione insieme ad alcuni rappresentanti delle religioni, tra cui l’imam di Firenze Elzir Izzedin, la giornalista Hulda Liberanome, esponente della comunità ebraica fiorentina, il biblista don Luca Mazzinghi e padre Dionisio, della Chiesa russo-ortodossa di San Pietroburgo. «Speranza è guardare al futuro con la fiducia che un mondo migliore sia possibile se lavoriamo concretamente per costruirlo. Speranza è attesa, azione e fiducia», si legge nel Documento. Durante l’esperienza i giovani hanno ricevuto l’ormai tradizionale visita dell’assessore regionale alla cooperazione internazionale Massimo Toschi e quella del vescovo di Grosseto, mons. Franco Agostinelli.
Al termine del Campo i giovani hanno consegnato a Gianni Salvadori, assessore alle politiche sociali della Toscana, il Documento Finale sottolineando la volontà di assumersi la responsabilità di impegni concreti per costruire un mondo migliore e rendere fecondo l’agire politico. «Vogliamo usare questa esperienza per diventare più attivi socialmente e politicamente e per sviluppare un senso di responsabilità umana e civile. Vogliamo mettere in atto un impegno politico che inizia dai nostri studi, dai nostri lavori e dalle nostre azioni quotidiane».
Spunto di condivisione sono state anche le stesse differenze religiose: a «La Vela» erano ospiti musulmani, ebrei, cristiani ortodossi e cattolici. I diversi culti sono stati un’ulteriore opportunità di conoscenza e in nessun caso un ostacolo. Naeem ed Hassan, studenti musulmani palestinesi di medicina, ad esempio, hanno avuto modo di sperimentare più di una volta con i giovani cattolici le comunanze di Corano e Vangelo circa la condanna di una ricchezza che allontani dal Dio e dal Bene. «È stato un grande piacere poter approfondire il Credo di questi nuovi amici hanno commentato con cui abbiamo più idee in comune di quanto appaia».
Forte l’impatto della figura del Papa su questa variegata e giovane compagine. Lo spunto è stato fornito dall’udienza di Castel Gandolfo concessa il 20 agosto, in occasione della quale alcuni ragazzi hanno avuto l’onore di poter scambiare alcune parole a quattr’occhi con il Santo Padre. Shiran, giovane ebrea, ha parlato a riguardo di «una fortissima emozione a causa del grande carisma che Benedetto sembra emanare, per di più inaspettata perché decisa lì per lì dai collaboratori del Pontefice». «Un regalo davvero inaspettato, da sogno afferma anche Manu, giovane cattolico palestinese dal quale non riuscivo a svegliarmi. Avrei voluto dire al Papa tante di quelle cose mentre mi guardava, ma ero così emozionato che alla fine sono stato solo capace di dire grazie», conclude raggiante.
Sentimenti comuni di emozione, sorrisi ancora più comuni di chi scambia foto o si diverte a giocare in spiaggia, ma soprattutto la comune consapevolezza che convivere in pace, semplicità e con il gusto della scoperta reciproca è possibile. Questi ragazzi e la loro esperienza testimoniano come, prima che sfociare in una divisione, la diversità possa essere prima di tutto gioia di scoprire nuove opportunità in chi nutre speranze molto più simili alle nostre di quanto si tenda a credere.
Mario Agostino