Care fiorentine e cari fiorentini,sono secoli che ci incontriamo a Pasqua ed è la prima volta che mi rivolgo a voi. Sarete meravigliati nel sapere che chi vi scrive è il Carro. Veramente non sto scrivendo io, ma detto le mie parole a una scribacchina, che viene sempre ad accompagnarmi nel mio tragitto verso il Duomo. La vedo da molti anni; addirittura da bambina mi dava l’assalto dopo lo Scoppio, insieme agli altri ragazzacci di San Lorenzo, per prendermi i gigli di metallo anneriti dal fumo, che erano un trofeo per loro. Quella tizia ha delle colpe da farsi perdonare e quindi mi fa da interprete presso di voi.So che state vivendo un momento difficile. Perfino qui, nella rimessa stretta e lunga de Il Prato, è arrivata la notizia della pandemia. Che ci fosse qualcosa che non andava, l’ho capito dal fatto che lo scorso anno nessuno è venuto a prepararmi. Pochi giorni fa, per l’Annunciazione, che per me è Capodanno, all’improvviso hanno aperto le porte della mia casa, sono venute molte persone a trovarmi e qualcuno ha detto che questa domenica di Pasqua, da solo, senza pubblico, senza corteo, andrò in Piazza.Le mie vecchie ruote faranno fatica a muoversi, ma confido che i soliti amici le olieranno bene. Non avrò con me i Musici e il loro Maestro: niente tamburi e pifferi. Non ci saranno gli alabardieri, né il carretto con le uova e i fiori trainato dal ciuchino. Ci saranno i buoi, i quattro forzuti con le corna e gli zoccoli dipinti d’oro, che però fanno fatica a trascinarmi: sono alto 11 metri e 60 con la girandola, sono lungo 3 metri e 40, peso 40 quintali. Spero che ci siano i Vigili del Fuoco, visto quello che successe la penultima volta con i fili che si trovano in alto per le vostre strade. Hanno detto che mi riprenderanno in televisione e con mezzi tecnologici che non conosco: voi potrete vedermi da casa, anche sui computer, o dovunque voi siate, sui telefonini. A me mancheranno le grida di meraviglia e gli applausi, soprattutto dei bambini. Ricordo ancora quella scena tremenda del 1909 in Piazza Vittorio, quando proprio una piccola di nove anni morì perché uno dei miei mortaretti esplose in mezzo alla folla. Allora usavano farmi scoppiare due volte: al Duomo e poi davanti al Palazzo de’ Pazzi, per rendere omaggio alla famiglia protagonista di tutta la storia; dopo che i fili del tram impedirono che passassi da via del Proconsolo, mi facevano fermare nell’attuale Piazza della Repubblica e lì successe quel disastro che non ho mai dimenticato: insieme alla bambina, morì anche un giovane di diciotto anni.Sono un vecchio attore, a cui piace la folla plaudente, vanitoso e forse anche permaloso. Un uomo politico importante tra voi, tempo fa, disse che mi chiamano Brindellone perché non ho voglia di lavorare. Dite a quel signore che prima di parlare si informi. Un tempo, nelle feste importanti, si facevano sfilate di carri e per San Giovanni Battista la Zecca faceva sfilare per le strade un carro altissimo, in cima al quale un poveraccio, vestito di una pelle di cammello sbrindellata, impersonava il santo patrono della città, la cui immagine era sul Fiorino. Il Brindellone era lui, quel disgraziato che, stordito dalle scosse del carro, ondeggiava assetato e affamato; una volta giunse quasi svenuto alla chiesa di Santa Maria in Campo: da una finestra gli dettero da bere e da mangiare. Da allora, ogni anno, gli venivano offerte dall’alto caraffe di vino e dolci: dopo aver mangiato, gettava quel che restava ai ragazzi che lo seguivano. Anch’io ondeggio, anche se non sono stracciato: il mio look è raffinatissimo; ho però ereditato quel nome, con un pezzo di storia della città.Dunque, gente di Firenze: raccontate ai vostri bambini di Pazzino de’ Pazzi che, nella Prima Crociata, salì per primo sulle mura di Gerusalemme, magari dicendo che allora si facevano guerre e che oggi è meglio cercare di risolvere ogni contrasto diplomaticamente. Dite loro che il Gran Comandante Goffredo di Buglione regalò a quel prode tre pietre del Santo Sepolcro; si scoprì poi che erano pietre focaie. I Pazzi con quelle schegge accendevano il Fuoco Santo e lo donavano con un carro a tutta la città, perché i focolari spenti tornassero a vivere. Fate capire ai piccoli che già sotto il pontificato di Leone X qui avevamo la Colombina, il primo “aereo a reazione della storia”. E che poi quel carro si è modificato, diventando un carro trionfale, fino ad arrivare a me, che sono stato costruito nel 1765. E adesso permettete a un vecchio innamorato della nostra città di parlarvi della Colombina, del suo volo, del significato vero di questa cerimonia, che non è una manifestazione per i turisti, ma ha un valore importantissimo per chi è nato qui.Mi portano davanti alla Cattedrale: sono pieno di fuochi e mortaretti; pieno da scoppiare, è il caso di dirlo. I Bandierai degli Uffizi – Bandierai, non sbandieratori, signori telecronisti e giornalisti – mi rendono onore giostrando con le loro insegne intorno a me. Il cardinale arcivescovo mi benedice. Tutto bellissimo, sono al centro della scena, ma io aspetto lei. L’aspetto da un anno. Ci vediamo solo a Pasqua e insieme facciamo scintille. La Colombina è bianca, è il simbolo della pace. Al “Gloria”, il celebrante si avvicina alla base della colonna posta davanti all’altare. Lei è in alto, sul filo di acciaio che corre a sette metri di altezza lungo tutta la navata e arriva fino a me. Era una corda unta di sugna un tempo: lei era una colomba imbalsamata, ora è di gesso. Tutto questo conta poco, di fronte al significato dell’evento.Il celebrante ha in mano una candela a tre luci: Padre, Figlio e Spirito; è stata accesa con il Fuoco santo sprigionato dalle pietre focaie del sepolcro che ha visto la Resurrezione. La candela si avvicina alla miccia e la luce diventa fuoco, il fuoco è vita e sale in alto lungo la colonna. La folla dentro il duomo è muta. C’è un attimo di silenzio assoluto, poi tutti i campanelli e le campanine della cattedrale si mettono a suonare. Sul portale i tamburi rullano. L’attesa è qualcosa di palpabile anche in piazza. Con un sibilo lei parte. Scivola rapida lungo il cavo. La gente l’accompagna. C’è perfino chi le urla: “Vai, bella, vola”. Lascia dietro di sé un ventaglio di scintille. Arriva al portale, passa sotto il volto meravigliato delle statue dei santi e giunge da me. Non mi tocca, ma batte nella croce e da quella croce il fuoco corre nei miei ripiani.Io trasformo quel fuoco in gioia, in colore, in rumore, in quella vita che non si spegnerà mai. Da me l’annuncio passa a tutta la città. Le campane suonano, i piccioni impazziscono. Impazzisco anch’io. Faccio cascate di luce, mi vesto di viola – sono un tifoso – poi con un ultimo sibilo escono le bandiere. Lei intanto deve essere tornata alla colonna da cui è partita. Nel 2018 rimase ferma da me; nel 1966 non uscì dalla Chiesa e mi accese un pompiere; nel 1944 non mi raggiunse. Mi hanno detto che in quegli anni, o subito dopo, sono successe cose brutte, ma credo si chiami superstizione. Cristo risorge in quel fuoco che fa volare e che si trasforma in colori e scoppi di gioia. Tutto l’evento è visualizzazione dell’amore immenso, irrefrenabile di Dio per gli uomini.Per questo sono contento di andare in Piazza anche da solo. Quella lieta novella è fra le poche certezze che voi avete e io sarò sempre fiero di portarvela. Buona Pasqua 2021 dal vostro Brindellone.