Opinioni & Commenti

Scisma d’oriente: ricordare, non celebrare

di Elio Bromuri Non credo che qualcuno si senta in cuor suo di celebrare la data del 16 luglio 1054, quando il cardinale Umberto da Silva Candida, accompagnato da Federico di Lorena, depose sull’altare della Basilica di Hagia Sofia (Santa Sofia) di Costantinopoli una bolla di scomunica contro lo “pseudo- Patriarca” Michele Cerulario e i suoi seguaci a nome di Papa Leone IX che era già morto da tre mesi (19 aprile 1054). Purtroppo nella storiografia ecclesiastica sono spesso evidenziati i momenti drammatici e gli scontri tra i grandi personaggi rivestiti di potere più che la quotidiana esistenza dei milioni di fedeli che pregano e cercano di percorrere gli stretti sentieri della vita cristiana.Non credo neppure che si debba minimizzare la portata storica e le conseguenze nefaste di quel triste epilogo di secolari incomprensioni e malintesi, soprattutto di mancanza di spirito evangelico e di umana tolleranza. Non si può ridurre la divisione segnata ufficialmente da quella data allo scatto rabbioso di un impaziente cardinale, provocato dalla cocciutaggine di un Patriarca che disprezzava come eretici i latini e i loro riti. Non si è trattato neppure soltanto di incomprensioni dovute alla lingua (i greci non conoscevano il latino e i latini non conoscevano il greco) o alla diversità di cultura e di codici di comportamento. È giusto non banalizzare, come ci ricordano gli storici ortodossi, ricorrendo a criteri campanilistici e meschini, perché quella vicenda, triste epilogo di molteplici controversie teologiche, ecclesiologiche e politiche precedenti, ha dato seguito a quel primo grande scandalo e sacrilegio rappresentato dalla IV Crociata del 1204 (ottocento anni fa), di cui Giovanni Paolo II ha sentito il bisogno di fare memoria davanti a Bartolomeo I, il 29 giugno scorso (nella foto). Ha detto: esattamente: “Non possiamo dimenticare ciò che accadde nel mese di aprile del 1204. Un esercito partito per recuperare la Terra Santa alla cristianità si diresse verso Costantinopoli per prenderla e saccheggiarla, versando il sangue di fratelli nella fede”, e ha parlato di sdegno e dolore, in ideale collegamento con lo sdegno espresso da Innocenzo III, quando fu informato della vicenda. Non rallegra neppure che vi siano stati tentativi mal riusciti di riunificazione come nel Concilio di Firenze nel 1439, di cui è rimasta la bella prosa del camaldolese Ambrogio Traversari che inneggia alla unificazione sottoscritta, sulla carta.

Credo invece che a partire da quella data che ha segnato l’inizio di una storia divisa e conflittuale si debbano riprendere le fila di un discorso che costituisca una nuova storia. Quella che ha avuto origine con il “Tomos agapes” (il “Libro dell’ amore”) scritto a due mani dal Patriarca ortodosso Atenagora I e dal Pontefice romano Paolo VI. Un libro in cui è segnata la prima pagina dall’immagine di un abbraccio tra i due uomini di Dio, profeti del nostro tempo (5 gennaio 1964) e nel quale è scritta in greco e in latino la revoca delle scomuniche (7 dicembre 1965). Questa seconda storia, con l’accelerazione dei tempi e la spinta dello Spirito, non dovrà durare il tempo della divisione (950 anni ad oggi), ma dovrà pur sempre rappresentare una storia in cui siano scritte pagine e pagine piene di segni, gesti, parole che parlino di pace, di unità, di comunione. Queste pagine possono essere scritte a più mani, da quelle di Bartolomeo che va in visita a Roma nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a quelle del Papa che dona la chiesa in pieno centro di Roma agli ortodossi e riconsegna in dono la Madonna di Kazan ad Alessio Patriarca di Mosca, e dalle mani di cattolici e ortodossi che si stringono nella mutua accoglienza e nel saluto cristiano del Risorto.

E allora perché ricordare una data triste e lontana? Prima di tutto per pregare, per purificare la memoria considerando le colpe ognuno per la sua parte, rimettendo a Dio il giudizio e il perdono, per ravvedersi e tenersi lontani dalla tentazione impulsiva della contrapposizione, per scorgere i segni dei tempi e i richiami dello Spirito, per sentirsi incoraggiati a intraprendere passi sempre più convinti e decisi verso la comunione, cessando di rinfacciarsi accuse e colpe e riscoprendo la comune fede della Chiesa una e santa. Con la nuova storia contrassegnata dal cammino ecumenico scompariranno dal volto della Chiesa rughe e cicatrici provocate dalle ferite che le hanno inflitto i suoi figli maggiori, lasciando nella desolazione i piccoli e i deboli. Ricordare il 1054 significa anche ringraziare Dio perché quello stile ecclesiastico di inizi del secondo millennio è stato superato da una maggiore comprensione della carità nella verità. Da sola, infatti, la verità o la presunta propria verità, senza la carità, come afferma San Paolo, a nulla serve.

Dichiarazione comune con il patriarca Bartolomeo I