Cultura & Società
Scacchi, quando le donne presero il potere
di Marco Lapi
Donne al potere o, meglio, il potere alle donne. Non è la riproposizione di uno slogan veterofemminista, ma quello che storicamente avvenne nel Rinascimento, non tanto sui troni d’Italia e d’Europa dove peraltro, come vedremo, non mancavano rappresentanti del gentil sesso quanto, più semplicemente, sulle scacchiere. L’antichissimo «gioco dei re» nonché «re dei giochi» era infatti giunto in Europa dall’Oriente con regole in parte diverse da quelle attuali, soprattutto per quanto riguardava la limitata potenza di due pezzi, l’Al-Fil (elefante, in arabo) e il Firzan (consigliere), europeizzato in «Fersa», mentre i pedoni anche alla prima mossa potevano spostarsi in avanti solo di una casa. Logico che le partite, ancor oggi giudicate noiose dai profani, apparissero allora oggettivamente tali anche ai più appassionati, anche per la diversità dell’indole europea rispetto a quella indiana o persiana. Pian piano, dunque, nuove regole presero campo: l’Al-Fil divenne l’Alfiere e poté liberamente scorrazzare sulle intere diagonali anziché saltare solo sulla loro terza casa; il Firzan si tramutò nella Donna o Regina e da pezzo debolissimo qual era potendo muoversi solo di una casa in diagonale divenne la figura più potente e temibile della scacchiera.
Tra i rari esperti in materia che, in quel periodo, documentarono il passaggio dalle antiche alle nuove regole cioè, per usare la terminologia spagnola allora in voga, tra i «partiti del viejo» (le partite alla vecchia maniera) e quelli «a la rabiosa», c’era anche fra’ Luca Pacioli da Borgo Sansepolcro, figura di primissimo piano nella storia della matematica e della geometria, insegnante d’abaco e di materie mercantili, autore di opere basilari quali la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita, il De divina proportione e il De viribus quantitatis. Ebbe, tra l’altro, stretti rapporti di collaborazione con Leonardo da Vinci e frequentò anche artisti di rilievo quali il suo concittadino Piero della Francesca, che per certi aspetti gli fece da maestro, e Leon Battista Alberti. Ma trovò, appunto, anche il tempo di dilettarsi con pezzi e pedoni scrivendo il De ludo scachorum per dedicarlo alla sua mecenate Isabella d’Este, che oltre a essere appassionata scacchista era anche una delle donne, di cui dicevamo sopra, che il potere ce l’aveva davvero e non solo sulla scacchiera. Questo «iocondo et alegro tractato» utile come «schifanoia» (cioè per schivare la noia), scritto in volgare e probabilmente concluso intorno al 1500, era stato citato dallo stesso Pacioli in altre opere ma finora lo si era considerato irrimediabilmente perduto, non essendone stata mai recuperata neppure una copia. Finché, pochi mesi fa, presso la biblioteca della Fondazione Coronini Cronberg di Gorizia, ne è stata trovata una versione anonima, forse preparatoria rispetto a una probabile, successiva versione finale ma attribuibile senza dubbio allo stesso francescano biturgense, sia per linguaggio che per confronto calligrafico.
Così, per onorare l’illustre concittadino, Aboca Museum («braccio culturale» della nota casa di erboristeria e cosmesi) ha non solo riprodotto anastaticamente il manoscritto in tiratura limitata (999 copie), affiancandolo con un ricco commentario sull’autenticità dell’opera e sulla sua validità dal punto di vista scacchistico, ma ha anche promosso presso il Gabinetto Disegni e Stampe della Galleria degli Uffizi, in collaborazione con la Soprintendenza speciale per il polo museale fiorentino, una
Trentacinque anni fa a far scoprire il gioco nel nostro Paese fu invece un altro evento mediatico in cui gli italiani non c’entravano niente, ma comunque di grande impatto emotivo anche per i risvolti politici che poteva avere in pieno clima di guerra fredda. Per la prima volta, un giovane americano osava sfidare, nella neutrale Reykjavik, lo strapotere sovietico in campo scacchistico. Quella tra Bobby Fischer e Boris Spasskij, che si concluse con la vittoria del primo, fu davvero la sfida del secolo e riuscì a trasmettere il fascino degli scacchi a moltissimi profani, pur non arrivando a suscitare un movimento stabile e duraturo.
In Italia, e anche nella nostra regione, gli appassionati comunque non mancano, e si possono ad esempio trovare nei circoli di area Arci facenti capo alla Lega Scacchi Uisp (www.legascacchi.it), costituita a livello provinciale dallo scorso aprile anche a Firenze. Ma i più fanno capo alla Federazione Scacchistica Italiana (Fsi; www.federscacchi.it), che in Toscana è presente con 19 circoli: uno in provincia di Arezzo (a Bibbiena), tre in provincia di Firenze (a Empoli e due nel capoluogo), uno in provincia di Grosseto (nel capoluogo), tre in provincia di Livorno (a Cecina, Portoferraio e nel capoluogo), tre in provincia di Lucca (a Querceta per la Versilia, nel capoluogo e nella frazione di Picciorana), tre in provincia di Pisa (a Pontedera e due nel capoluogo), due in provincia di Pistoia (a Montecatini Terme e nel capoluogo), uno in provincia di Prato (nel capoluogo) e due in provincia di Siena (entrambi nel capoluogo).
Proprio a Siena c’è il circolo attualmente più forte, il «Mens Sana 1871», che ha concluso al terzo posto l’ultimo campionato nazionale a squadre «Master» (categoria equivalente alla serie A del calcio). E da Siena viene anche il vicepresidente vicario della Fsi Mario Leoncini, prolifico autore di libri d’argomento scacchistico. A livello individuale, fanno invece ben sperare due giovanissimi: Marco Codenotti, 10 anni, di Pisa, unico italiano impegnato mentre scriviamo in un torneo internazionale a Dubai, e Simone De Filomeno, dodicenne pratese già «candidato maestro», contemporaneamente impegnato a difendere a Terrasini, in provincia di Palermo, il titolo italiano under 12 conquistato lo scorso anno. L’inizio è stato promettente: quattro vittorie nei primi quattro impegni. Forza Simone, stai a vedere che a farci riscoprire gli scacchi sarai proprio tu!