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Sanzioni Usa contro l’Iran. Per l’Italia, a rischio 27 miliardi di dollari di commesse

Dopo l'uscita degli Usa dal patto sul nucleare, sono scattate ieri le sanzioni del presidente Trump contro l'Iran. A essere colpita è anche l’economia di quei Paesi, come l'Italia, che intrattengono rapporti commerciali e finanziari con l'Iran. Ne parliamo con Alberto Negri, analista dell’Ispi.

È entrata in vigore, il 7 agosto, la prima tranche di sanzioni decisa dal presidente Donald Trump contro l’Iran, dopo l’uscita degli Usa dal patto sul nucleare, siglato nel 2015. In questa fase le sanzioni colpiranno beni-simbolo dell’Iran come i tappeti, il commercio in oro o metalli preziosi, la vendita diretta o indiretta, la fornitura e il trasferimento verso o dall’Iran di grafite, metalli grezzi o semilavorati quali alluminio, acciaio, carbone. Vietati anche l’acquisto di dollari americani da parte del governo di Teheran.

Trattandosi di «sanzioni secondarie» queste colpiranno anche quei «soggetti non americani» che intrattengono relazioni economiche e commerciali con l’Iran, come l’Italia e i Paesi dell’Ue, con inevitabili ripercussioni economiche. Il 4 novembre scatterà invece la seconda tranche di sanzioni, molto più pesanti, poiché riguarderanno le esportazioni di greggio, il settore energetico, bancario e finanziario. Delle sanzioni e degli effetti che queste avranno nello scacchiere mediorientale e nell’economia italiana ne abbiamo con Alberto Negri, analista dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) 

In che modo queste sanzioni incideranno sul complesso scacchiere mediorientale?

«La decisione americana di stracciare l’Accordo sul nucleare del 2015, costituisce un fattore d’instabilità e di preoccupazione per la regione. Vale la pena ricordare che questo Trattato era stato siglato da tutta la comunità internazionale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, con l’approvazione esplicita dell’Ue e dei Paesi del gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania). Oltre tutto, secondo i rapporti dell’Iaea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna, l’Iran, fino ad oggi aveva tenuto fede agli impegni sottoscritti. La cancellazione da parte degli Usa dell’Accordo è un gesto arbitrario».

Le sanzioni decise da Trump contro l’Iran vanno ad aggiungersi a quelle imposte alla Russia e alla Turchia, e sembrano far parte di una strategia più complessiva che coinvolge anche i dazi cinesi e le relazioni con la Corea del Nord. Qual è l’obiettivo finale del presidente americano?

«Si tratta di una strategia che coinvolge in particolare Russia, Iran e Turchia, vale a dire il triangolo dell’Eurasia, determinante anche per la stabilizzazione della Siria. Gli Usa stanno creando fortissime tensioni con l’Eurasia, basti pensare che è la prima volta che un Paese Nato, gli Stati Uniti, sanziona un altro membro dell’Alleanza atlantica, la Turchia. Trump l’ha definita una strategia della «massima pressione», ma in realtà siamo nell’ambito di una guerra economica approvata da Israele e dall’Arabia Saudita, gli altri due avversari dell’Iran. Si tratta per ora di una strategia economica ma, è significativo quanto detto dal ministro israeliano dell’Intelligence, Israel Katz: se gli iraniani andranno incontro alle richieste americane bene, ma se il regime iraniano andrà in crisi e cadrà meglio ancora. Parole che indicano che non è solo una strategia della pressione ma è anche una strategia della tensione nei confronti dell’Iran condotta dal fronte Usa-Israele-Arabia Saudita».

«Si tratta di una guerra psicologica, non si può negoziare con le minacce» è stata la secca risposta del leader iraniano Hassan Rohani alle parole di Trump che pure si è detto pronto a incontrarlo «senza condizioni e in qualunque momento»…

«L’invito di Trump è privo di senso dal punto di vista diplomatico. Altro che trattare senza condizioni. Qui si tratta sotto delle condizioni ben precise che sono quelle stabilite dalle sanzioni che stanno congelando e congeleranno tutte le transazioni commerciali e finanziarie internazionali dell’Iran. Siamo davanti all’uso di minacce e di strumenti di pressione, altro che a trattative senza condizioni».

In che modo le sanzioni influiranno sul regime iraniano?

«Indubbiamente ci potrebbero essere degli spostamenti di assetto all’interno del regime perché la crisi economica è grave: il ryal, la moneta nazionale, è precipitato nei mercati, l’inflazione continua a salire. Due gli aspetti da considerare: il primo è un ricompattamento della leadership iraniana al proprio interno in funzione antiamericana. Sappiamo che sulla firma dell’Accordo la spaccatura è stata notevole. I falchi del regime non volevano il Trattato nucleare. L’altro aspetto è l’indebolimento del presidente Rohani – fautore dell’Accordo, e considerato tra le figure politiche più moderate e pragmatiche del Paese – a vantaggio di un rafforzamento dell’ala dura del regime, quindi dei pasdaran, intorno alla guida suprema Alì Khamenei».

Quali invece gli effetti sulla popolazione?

«Nelle città iraniane serpeggia il malcontento: da una parte assistiamo a una mobilitazione di piazza antiamericana, dall’altra a proteste determinate dalla crisi economica e dall’insofferenza di ampi strati della popolazione che vorrebbero comunque un negoziato con gli Usa».

Le sanzioni secondarie colpiscono anche quei Paesi, tra cui l’Italia, che intrattengono relazioni con l’Iran. Che impatto avranno sulla nostra economia?

«Per noi parlano i numeri. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Iran, davanti a Francia e Germania. L’interscambio annuo è di circa 5 miliardi di euro. Ogni anno le imprese italiane esportano merci da 1,8 a 2 miliardi di euro. Si tratta per lo più di piccole e medie imprese con conseguenze negative in questo settore. Poi ci sono le grandi commesse: parliamo in questo caso di 26-27 miliardi di dollari di commesse che potrebbero finire congelate dalle sanzioni americane. Sarebbe un danno gravissimo per l’Italia e per gli altri Paesi europei che in questi anni, vista l’assenza di sanzioni, avevano ripreso le relazioni commerciali, compresa l’importazione di petrolio».      

L’entrata in vigore del «regolamento di blocco» dell’Ue potrebbe servire a tutelare le aziende italiane ed europee?

«No. Questo regolamento non è mai stato sperimentato e oltretutto richiede l’attuazione di misure per fare in modo che continuino le transazioni finanziarie con l’Iran. I pagamenti dall’Iran e con l’Iran non vengono aggirati dal regolamento di blocco. Le banche europee con queste sanzioni non possono operare negli Usa se fanno affari con l’Iran. Da qui l’esigenza di creare una istituzione bancaria «in euro» per fare transazioni solo nella divisa europea per non cadere sotto la scure americana. Questa è la sfida che attende l’Italia e questo è il senso di una proposta che ho avanzato, di concerto con Unioncamere e Confindustria, al nostro Governo due settimane fa».

Con quale esito?

«Si stanno attivando tutti i Ministeri in modo che si possa fare qualcosa in questa direzione».

Le sanzioni sono una sconfitta della diplomazia: che ne sarà adesso del Trattato nucleare con l’Iran?

«La situazione è allarmante perché non solo ci deve preoccupare il nucleare ma anche la questione missilistica. Gli iraniani non saranno disposti a limitare il loro arsenale missilistico di fronte a un Accordo stracciato dagli Usa. Conosciamo bene le tensioni in atto nel Golfo e in Siria: pensiamo, per esempio, ai bombardamenti israeliani sui pasdaran iraniani nella regione del Golan. L’aspetto paradossale – tornando alla Siria – è che gli Usa e Israele non possono fare a meno della Russia, grande sponsor di Assad. L’annullamento di questo Accordo inserisce un elemento d’instabilità in una area già esplosiva».