Cultura & Società
Santa Bona e i pellegrinaggi al femminile
Santa Bona da Pisa e la dimensione femminile del pellegrinaggio» è il tema della giornata di studio in programma questo venerdì 19 gennaio (con inizio alle 9,30) presso l’Auditorium «Giuseppe Toniolo» in piazza Arcivescovado a Pisa. Il convegno, organizzato dalla Compagnia di Santa Bona, dall’arcidiocesi di Pisa, da Memoria ecclesiae e dall’Opera della Primaziale pisana, rientra nelle celebrazioni per l’ottavo centenario della morte della santa. Abbiamo chiesto ad Anna Benvenuti, una delle relatrici del convegno, di tracciare un profilo storico dei pellegrinaggi al femminile.
L’epoca lontana dei testimoni della fede aveva consegnato alla liturgia più o meno oscuri nomi femminili ai quali si sarebbero aggiunti quelli delle più famose protagoniste dell’epopea cristiana delle origini della Chiesa, dalla penitente Pelagia a Tecla di Seleucia, fino, più tardi, alle pie matrone trascinate in Palestina dal magistero spirituale di Gerolamo. Ai loro esempi si assommavano quelli delle prime monache ed eremite, figure il cui fascino doveva riverberare anche sui secoli bassi del medioevo, quando i volgarizzatori dell’avventura dei Padri del deserto avrebbero contribuito a rendere familiare alla cultura cittadina del mondo comunale i deserti silenziosi e bruciati dal sole dove prendevano corpo e colore le larve remote di Maria Egiziaca e di Zosima, dell’abate Pfanuzio e della nipote-discepola Maria, di Zoe meretrice in Betlemme, di Taide e delle altre peccatrici redente dalla inconfondibile «griffe» degli anacoreti.
Nel periodo in cui le solitudini della Tebaide avevano attratto devote nobildonne nella sequela del nudum Christum, sulla via segnata dai fondatori dell’ascesi eremitica, era iniziata anche l’inventio dei luoghi santi compiuta attraverso il filtro della lettera scritturale: si cominciava allora a tratteggiare quella «topografia leggendaria» della Terrasanta via via arricchita dagli Apocrifi e destinata a raggiungere la sua apoteosi in età crociata. Nonostante Gregorio di Nissa, con un buon senso che farà epoca, invitasse almeno le donne ad astenersi dai rischi del pellegrinaggio, creando i presupposti del più noto adagio in virtù del quale qui multo peregrinantur rare santificantur, altri padri del pensiero cristiano, come Teodoreto di Ciro, tramandarono il typus della penitente e della pellegrina quale «donna forte», capace di riscattare l’infirmitas del suo stato attraverso la fatica edificante dell’itinerarium.
Questo modello sarebbe sopravvissuto al lungo silenzio delle fonti altomedievali sul pellegrinaggio tornando a riemergere nella rappresentazione della santità dei secoli centrali del medioevo, quando, stando a Raoul Glaber, l’umanità intera sembrò volersi mettere in cammino alla volta di Gerusalemme: le ancora sporadiche testimonianze rinviano per lo più all’esperienza del viaggio devozionale compiuto da nobili signore o da qualche penitente vincolata alla sentenza espiatoria del pellegrinaggio; dapprima incidentali, nelle narrazioni agiografiche, poi sempre più approfonditi, i riferimenti a questa pratica devota sarebbero divenuti comuni nel corso del XII secolo, epoca in cui anche le donne, fino ad allora così poco visibili, sarebbero state favorite dalla creazione di strutture specializzate per l’accoglienza ai pellegrini specie nei lontani distretti d’Oltremare.
La fortuna femminile dell’iter devotionis in questo periodo va in buona parte letta sullo scorcio di una crescente mobilità sociale e commerciale sostenuta dal perfezionarsi del sistema viario, come è evidente nel caso della Toscana attraversata dalla Francigena: qui molte donne avviarono il loro percorso spirituale con un pellegrinaggio spesso conclusosi, come per Verdiana da Castelfiorentino o Cristiana a Santa Croce, con la reclusione volontaria; altre, come Bona, nella Pisa del XII secolo, una volta chiusa l’esperienza itinerante, avrebbero promosso strutture di accoglienza sui percorsi di pellegrinaggio più vicini, dedicandosi come Ubaldesca, sempre a Pisa, o Diana a Santa Maria a Monte, agli umili servizi dell’assistenza.
Se le donne dei secoli XII e XIII poterono affrontare, da sole o in gruppo, la difficile e rischiosa esperienza del viaggio una esperienza scoraggiata dalla chiesa e dal «senso comune» di una cultura misogina che troverà ancora largo spazio tra i predicatori del Tre-Quattrocento la stanzialità culturale indotta dal sistema urbano ed il disciplinamento complessivo della religio femminile in corso di applicazione nel XIV secolo dovevano lentamente portare a quella svalutazione concettuale del viaggio, di devozione o meno, che caratterizzerà il tardo medioevo. Nelle pagine delle mistiche troveremo efficacemente riassunto, in termini di altissima tensione spirituale, il cambiamento di segno avvenuto nella metafora del pellegrinare, ormai non più concentrata sulla Jerusalem terrena o sul contatto corporeo coi luoghi della memoria cristiana, ma protesa, attraverso le tecniche dell’imitatio e della immedesimazione, verso il contatto diretto della mente col Cristo.