Cultura & Società

Sanremo, vince l’amore ma non mancano guerra e politica

di Marco BenniciLe canzoni in gara hanno un colore monotematico. La radiografia fatta in casa «Treccani» ne boccia qualsiasi afflato ulteriore. Amore, amore tradito, amore per l’ex, queste le principali sfumature delle canzoni sanremesi secondo la principale istituzione culturale italiana. Manca completamente il filone ironico o comunque pezzi stilisticamente più «letterati» di altri. «Manca l’acuto», una canzone che stacchi sulle altre, come era successo nelle edizioni passate con le trovate di Elio e le storie tese, «La terra dei cachi», e di Max Gazzè, «Timido ubriaco».

Al giudizio del professor Giuseppe Antonelli, docente di Linguistica italiana all’Università degli studi di Cassino, non sfugge nessuno dei 30 brani partecipanti a questa edizione del Festival. Si accoda a lui anche Michele Serra dalle pagine di Repubblica del primo giorno post Sanremo. «Le 29 canzoni si snodano in un monotono monologo. O meglio in un dialogo a senso unico con un convitato di pietra, visto che quasi tutte si rivolgono a un tu poetico facilmente identificabile con l’amata/o o spesso con l’ex». Dall’articolo pubblicato sul sito dell’enciclopedia Treccani non sembra ammettersi nessuna forma di riscatto.

Si tratta effettivamente di pezzi scritti al «servizio» della melodia. L’esercizio stilistico di Antonelli di leggere le parole prima di aver ascoltato il pezzo e di ricavarne un’impressione globale, e comunque sommaria, non è certo dei più facili. Le strutture metriche sono le più varie. Dai testi più verbosi, stile «Gigi Finizio e i ragazzi di Scampia», si passa a quelli più ermetici, «Rido… forse mi sbaglio» degli Ameba4. Alcuni di essi sfuggono alla tentazione sempre forte della classica rima baciata o alternata. Tra questi la canzone di Simona Bencini, scritta da Elisa, e la nuova di Alex Britti. Delle impressioni firmate Treccani resta, però, qualcosa dopo aver ascoltato i pezzi nelle prime due serate del Festival. Non c’è un colore monotematico dei pezzi. L’amore, come sempre, fa da padrone, ma non mancano percorsi diversi.

È un Festival senza un grande favorito alla vigilia. Un giudizio che non cambia nemmeno alla seconda serata di ascolto delle canzoni. Poche novità, poca audacia, poca fantasia. Un cast costruito tentando di andare incontro ai gusti del pubblico televisivo. Sono queste le principali caratteristiche di questo nuovo appuntamento sanremese. Si punta sui colpi di scena, pochi a dir la verità. La musica fa da contorno. Nei brani in gara poche aperture nei confronti dei temi più scottanti dell’attualità e un girone Giovani da cui si aspettano alcune delle cose migliori della rassegna. La prima puntata li ha visti protagonisti di un medley di tutti i loro pezzi. Ritornelli facili, che ti sorridono e catturano l’attenzione maggiormente di quanto facciano le canzoni dei loro colleghi più «grandi». Poca grinta, comunque, da parte loro nell’affrontare un palco che potrebbe essere un trampolino di lancio.

Nei testi non c’è solo l’amore. Spazio anche per l’inno alla vita di Dolcenera. Molta furbizia dietro la voce roca alla Bertè, l’atteggiamento «molto rock» stile Robert Smith (The Cure) e persino un «vaffa» nel testo che diventa un «andare lontano» per evitare il «bollino rosso». Gigi Finizio con i ragazzi di Scampia canta la speranza. Il cantante napoletano porta con sé 17 giovani napoletani di Scampia, un quartiere di Napoli. Hanno tutti tra i 12 e i 15 anni. Sono allievi e musicisti dell’orchestra della scuola media «Carlo Levi».

Gianluca Grignani torna «Falco a metà». Canta «Liberi di sognare». Dice: «È scritta per chi ama ancora sognare, un desiderio che nessuno ci può togliere». È un po’ Vasco quando barcolla di fronte al microfono. Ma, d’altronde, non ha mai nascosto i suoi idoli musicali. I Nomadi con «Dove si va» scelgono la «guerra che si combatte ogni giorno».

Sembrano essersi dimenticati, purtroppo, il loro glorioso passato. Anche nel testo del pezzo, si fatica a credere che possa essere uscito così facilmente dalle loro penne. Nicky Niccolai presta la sua voce ai sentimenti di una prostituta. Apre la prima puntata, ma paga lo scotto dell’emozione di dover inaugurare le danze. La «nuova signora della canzone italiana d’autore» cade vittima del pronostico da lei stessa formulato: «Il mio pezzo tecnicamente non è facile da cantare: ha note di petto abbastanza spinte». Povia, stavolta finalmente in gara, usa la metafora del piccione per parlare d’amore. Imita il verso dei piccioni quando tubano. Il suo probabilmente è il pezzo più nuovo di tutti. È simpatico quando lo canta. Probabilmente il più radiofonico di questa edizione. Tra i Giovani sfuggono al tormentone sentimentale gli Ameba4 con un brano tutto da decifrare. Simone Cristicchi si dà all’emarginazione che nasce dalle malelingue. Ivan Segreto si presenta con un pezzo sull’importanza dei piccoli gesti.

Virginio, «Davvero», racconta il sogno di avercela fatta, nonostante lo scetticismo del padre, ad arrivare proprio a San Remo. A questi ragazzi manca però grinta. Alcuni mancano di precisione nell’esecuzione vocale, ma soprattutto di originalità nella composizione dei pezzi.

Incerto fino all’ultimo minuto il contenuto del brano di Anna Oxa. Accompagnata da un gruppo di coristi di Tirana, esegue un pezzo molto particolare. Di forte impatto emotivo, la sua interpretazione è riuscita a calamitare l’attenzione del pubblico. «Processo a me stessa» è sensuale e malizioso. Non è riuscito a mandarlo a memoria, così ne legge il testo sia alla prima serata che alla seconda. Ma non stona quel foglio a cui cerca un appiglio il suo sguardo. I toni bassi e il recitativo suonano un grande pezzo di Ivano Fossati: «Lunario si settembre».

Gli altri brani sposano il tema principe della canzone italiana. Alex Britti e Simona Bencini pescano dal repertorio soul. Simona canta «Tempesta», un pezzo scritto da Elisa. Alex Britti porta «…solo con te», ma ha fatto molto di meglio. Incuriosisce il pezzo di Luca Dirisio che con «calma e sangue freddo» prende il sentiero delle boy band. Esegue bene, forse meglio di tanti altri.

Probabilmente siamo lontani dal monologo monocromatico paventato dalla Treccani. Maggiore audacia nella composizione musicale e letteraria dei pezzi sarebbe doverosa specialmente per un Festival che continua a chiamarsi «Festival della canzone italiana». Non c’è da stupirsi se i grandi nomi della musica nostrana si astengono da tempo dal partecipare anche semplicemente come ospiti al Festival. L’ossessione «commerciale» detta un atteggiamento troppo distaccato dalla passione per canzoni che possano durare almeno più di un secondo. Se le vendite sono l’unico fattore di successo di un pezzo, e in questo caso non facciamone una colpa a questi onesti partecipanti, siamo veramente sicuri di poter parlare di «canzone italiana d’autore»?

La Toscana si fa in dueSono solo due i partecipanti toscani di questa edizione del Festival. Simona Bencini, nata a Firenze nel 1969 e voce solista dei «Dirotta su Cuba», e Povia, la vera sorpresa del Festival dell’anno scorso. Giuseppe Povia è toscano solo d’adozione. Nato a Milano 33 anni fa, ha vissuto a lungo in Toscana all’isola d’Elba. Attualmente vive tra Firenze e la sua Elba.

Simona Bencini la musica «c’è l’ha in casa». Sia la madre che il nonno erano dei bravissimi cantanti di stornelli fiorentini. L’unica registrazione della splendida voce del nonno, che Simona non ha mai conosciuto, è di sottofondo in una scena di un film. La carriera di Simona comincia, quasi per gioco, a 17 anni come corista in una compagnia di amici di varia estrazione culturale che mise in scena a proprie spese il musical più cult del mondo: il Rocky Horror Show. Da quel momento in poi non ha mai smesso di cantare. Durante gli studi non ha mai trascurato questa sua passione per il canto. Mentre stava frequentando l’università si è buttata nelle esperienze più disparate: cover bands, jingle pubblicitari, musica dance per il mercato giapponese, concorsi canori. Ha perfezionato le sue performance live scoprendo uno stile interpretativo e vocale sempre più vicino a quello del soul. La sua esperienza con i «Dirotta su Cuba» dura sette anni. Cinque album in tutto. «Dentro ad ogni attimo» è il disco della sua consacrazione non solo come interprete, ma anche come autrice. Il singolo che dà il titolo all’album è di sua composizione. Lasciando i «Dirotta su Cuba» non lascia la musica funky e soul. Continua a studiare canto a pianoforte per ampliare le sue capacità compositive. Il suo primo album da solista è «Sorgente». Il disco «Questa Voce» è uno dei singoli di punta dell’album. È stato composto da Pacifico e arricchito dal piano del jazzista Stefano Bollani. «Ricorderò», è un duetto con l’amica di sempre Irene Grandi. «Sottovoce» ha un testo scritto in collaborazione con Alex Cremonesi dei La Crus. Infine «Verso sud» è stata composta da uno dei più quotati song-writers di pop e R&B americani, Walter Afanasieff. Al Festival presenta «Tempesta», un brano scritto con Elisa.

Giuseppe Povia è la rivelazione del Festival di Bonolis. Nell’edizione 2005 canta un pezzo sostanzialmente inedito, ma fuori gara. Non ha un sito internet. Entra nella compilation sanremese, ed è uno dei più richiesti alla radio. Entusiasma, piace. «Ma non dura», si dice. Invece eccolo qui. Con il singolo «I bambini fanno ooh» totalizza sette dischi di platino. 130 mila copie vendute. 70 mila per l’intero album. 350 mila download del pezzo, un record assoluto in Italia. Quest’anno è in gara con «Vorrei avere il becco», una delle canzoni migliori di questa edizione. Lui è un autodidatta. A 14 anni inizia a suonare la chitarra. A 20 a comporre canzoni. Nel 1999 si iscrive all’Accademia di Sanremo dove, dopo essere arrivato in finale, viene eliminato per la sua ironica esuberanza. Qui incontra il produttore Giancarlo Bigazzi, uno dei più noti autori italiani, il quale decide di avvalersi della collaborazione di un altro produttore e amico, Angelo Carrara, per la realizzazione e l’arrangiamento del singolo «È Vero». Nel 2003 Povia è il vincitore del Premio Città di Recanati con la canzone «Mia Sorella». In questa occasione esegue parte di un pezzo appena scritto «I bambini fanno ooh». Questa la motivazione che lo ha tenuto fuori dalla gara, ma non dal Festival, dell’anno scorso. A Paolo Bonolis il brano piace. Si decide di inserirlo comunque come colonna sonora per «Avamposto 55», importante campagna di solidarietà a favore dei bambini del Darfur per la costruzione di un ospedale. A favore di questa iniziativa il cantautore devolverà, per un anno intero, i proventi derivanti dai diritti di autore sulla canzone. In questi giorni, assieme al pezzo che ha portato in gara a San Remo, è in programmazione nelle radio il nuovo singolo «Non è il momento».