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SANITÀ: ARIS, È «ALLARME ROSSO» PER LE STRUTTURE SANITARIE CATTOLICHE

«A parte casi isolati di cui si occupano ampiamente le cronache, la realtà è che istituti di vera eccellenza, ospedali classificati, case di cura e centri di riabilitazione che si sono conquistati nel tempo la fiducia degli utenti, sono ormai al collasso». A parlare di «vero allarme rosso» per le istituzioni sanitarie gestite da enti e congregazioni religiose è la presidenza dell’Aris, l’associazione che riunisce oltre 250 strutture non profit di matrice religiosa di cui 10 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, 20 ospedali classificati, 5 presidi ospedalieri, 49 case di cura, 124 centri di riabilitazione e 18 R.S.A. «Se poi dovessero subire gli ulteriori colpi di scure preannunciati dal decreto sulla ‘spending review’ – si legge in una nota dell’associazione – per molti di questi istituti il destino sembrerebbe segnato: cessione ai privati o chiusura definitiva con buona pace di migliaia di lavoratori che andrebbero ad ingrossare le fila di quelli che perdono il lavoro». Non solo: «La chiusura di queste istituzioni finirebbe per gravare oltremodo sul servizio pubblico, verso il quale confluirebbero le migliaia e migliaia di malati assistiti da queste strutture, scelta per molti fondata su un rapporto di fiducia con l’istituzione».

«Profondamente preoccupata per le gravi conseguenze» che il decreto-legge sulla revisione della spesa pubblica, approvato dal governo il 6 luglio e ora all’esame del Senato, può determinare, l’Aris ha convocato in seduta straordinaria il consiglio nazionale «per valutare le disposizioni del provvedimento e definire le possibili iniziative da assumere». Pur condividendo responsabilmente il progetto urgente a cui sta lavorando il governo – si legge nella nota della presidenza dell’Aris – «non possiamo condividere alcune disposizioni che prevedono nei confronti delle strutture private accreditate una riduzione generalizzata dei budget e dei volumi di attività stabiliti dai contratti e dagli accordi e di altre disposizioni che sostanzialmente possono legittimare a danno dei nostri presidi riduzioni di posti letto non giustificate». Tanto più che si continua «a non tenere in debita considerazione – prosegue la nota – il fatto che si tratta di istituzioni non profit e che non è dunque corretto riservare loro un trattamento del tutto simile a quello delle strutture private a scopo lucrativo». «Le strutture sanitarie religiose hanno rappresentato e ancora rappresentano la storia sanitaria di molte città italiane», fa notare l’Aris, e «sono generalmente preferite dai cittadini non solo per la qualità dell’assistenza ma anche per il particolare clima di umanità». (Sir)